"È dentro un pentolone...". ​Il Pd rischia di saltare in aria

Il segretario del Pd è sempre più isolato. Anche Franceschini potrebbe mollarlo. Renziani dem già all'assalto

"È dentro un pentolone...". ​Il Pd rischia di saltare in aria

Nicola Zingaretti isolato, destinato a una lenta cottura nel lungo congresso del Pd, appena iniziato. E con una sola via di uscita: candidarsi come sindaco di Roma. Con la nascita del governo Draghi, che ha visto il Pd in un ruolo di spettatore, è di fatto iniziata la resa dei conti interna. “E sarà lunga, anche a causa della pandemia. È davvero impossibile avviare un congresso ora”, spiega una fonte parlamentare a IlGiornale.it. Il percorso del segretario del Pd è sempre più complicato. “Ormai Zingaretti è in un pentolone con l’acqua calda e la temperatura che viene aumentata giorno dopo giorno”, è l’immagine alquanto significativa che viene descritta da un parlamentare dem.

Lo smarcamento degli alleati interni

Il segretario ha preparato una prima contromossa: l’assemblea nazionale convocata il 13 e 14 marzo. Ma questa volta potrebbe non esserci nemmeno l’unanimismo di facciata. I renziani del Pd, in primis il capogruppo al Senato Andrea Marcucci, e la minoranza interna, che fa riferimento all’ex presidente del partito Matteo Orfini, non sono più disposti a far finta di nulla. Ed è emerso da recenti interviste: viene chiesto un confronto vero per discutere sull’alleanza strutturale con il Movimento 5 Stelle. L'obiettivo è di sconfessare questa strategia, punto centrale della guida zingarettiana.

C’è un magma che ribolle sotto la poltrona del segretario. “Franceschini sta avviando le manovre di smarcamento. E sappiamo che nel Pd le sue mosse sono il termometro della situazione”, avvisa una fonte che conosce bene le dinamiche interne ai dem. Con la pressione che sale verso Zingaretti, il ministro dei Beni culturali ha assunto una posizione defilata. Certo, non gli ha voltato le spalle, ma nemmeno è salito sulle barricate per difenderlo. Un segnale dell’aria che cambia. E c’è poi il vicesegretario, Andrea Orlando, che da ministro del Lavoro può smarcarsi con maggiore facilità dalla difesa del numero uno. “I rapporti tra i due non sono nemmeno così solidi come qualche tempo fa”, riferisce un deputato. “Non che siano in rotta – precisa – ma l’idillio si sta spezzando”.

Sindaci sul piede di guerra

Per non parlare del “partito dei sindaci” del Pd. Il primo cittadino di Bari, Antonio Decaro, ci ha messo la faccia e ha lanciato un sasso nello stagno denunciando l’eccesso di correntismo tra i dem e la scarsa attenzione verso chi lavora sul territorio. Una presa di posizione che non è passata inosservata, visto che un altro sindaco, Giorgio Gori, da Bergamo, continua a bacchettare la linea zingarettiana. Due ex renziani, seppure molto diversi come profili, si trovano concordi. “Decaro solleva un problema giusto sull’ascolto degli amministratori. Non bisogna lasciar cadere nel vuoto il suo appello”, ribadisce un deputato molto vicino al numero uno dell’Anci. E infine ci sono le donne dem sul piede di guerra: “Il segretario si è accorto che non c’eravamo al governo dopo che era stato fatto. Suvvia...”, sibila una parlamentare.

Sul conto della segreteria del Pd non c’è solo la formazione dell’esecutivo Draghi. La linea “o Conte e voto” e “mai al governo della Lega” è risultata perdente nei fatti. Tanto da mettere sul banco degli imputati Goffredo Bettini, il regista di Zingaretti durante la crisi di governo. Proprio il ruolo di Bettini ha alimentato malumori a destra e a sinistra del partito. “Mentre Renzi lanciava siluri contro Conte, il Pd si schiacciava sul Movimento 5 Stelle e su Conte”, accusa un esponente dem, che sintetizza: “A un certo punto sembrava stesse partecipando al congresso dei grillini, difendendo Bonafede solo perché della stessa corrente di Di Maio, a supporto di Conte”. In questa strategia, si è infilato il leader di Italia viva.

L'offerta di salvataggio a Zingaretti

Un accerchiamento in piena regola per un segretario che non può nemmeno contare su una pattuglia di fedelissimi in Parlamento. I suoi pretoriani sono tutti sparsi nel Lazio. Ma non pesano nella Camera e al Senato. All’esterno, peraltro, è chiaro l’attivismo del presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che sta cercando di costruirsi un profilo per attirare su di sé il consenso dei vari capicorrente e riportando il partito più al centro. È solo una mossa iniziale, perché il tempo gioca a suo favore. Il congresso non parte certo oggi.

In un clima ostile verso il segretario, sta maturando un’idea per offrire una resa onorevole: proporre il nome di Zingaretti nella corsa al Campidoglio. “Così ci farebbe capire quali sono le sue reali intenzioni”.

Tradotto: la candidatura a sindaco di Roma sarebbe un pre-annuncio di future dimissioni dalla guida del Pd e renderebbe meno dura la resa dei conti. Mentre Zinga avrebbe la possibilità di garantirsi un futuro. In un ruolo di prestigio.

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