Durante i giorni scorsi molti media hanno fatto riferimento a una proposta dell’Inps in materia di adeguamento delle pensioni all’aspettativa di vita dei cittadini. L’Istituto nazionale di previdenza sociale ha comunicato di non avere nulla a che fare di tale ipotesi, smentendo di fatto il proprio coinvolgimento.
Ciò non toglie che, per quanto puntuale, l’argomento pone dei quesiti di non facile soluzione perché adeguare le pensioni all’aspettativa di vita è una strada difficilmente percorribile, anche tenendo conto delle dovute perequazioni.
I fattori che entrano in gioco non possono limitarsi ai meri dati anagrafici, subentrano il ceto, la professione e il luogo in cui vive il cittadino. Tema affascinante che merita un approfondimento, peraltro già affrontato dall’Inps nel 2020 ma puramente a titolo di audizione e quindi senza pretesa di formulare ipotesi in grado di modificare il sistema pensionistico italiano, facoltà demandate a governo e parlamento.
La riforma delle pensioni in base all’aspettativa di vita
Le pensioni sono argomento centrale e ricorrente tra le priorità del governo, che sta vagliando diverse ipotesi con un occhio aperto sulla sostenibilità finanziaria. Fino a ora i tavoli tecnici organizzati non hanno dato esito e questo vuole dire che la riforma delle pensioni è ancora a tendere.
La rimodulazione prevede che le pensioni vengano calcolate in modo diverso a seconda di alcuni parametri che incidono direttamente sulla longevità delle persone. A una prima lettura può sembrare un pensiero discriminatorio ma, considerando che negli ultimi 40 anni la speranza di vita in Italia è passata da 74,08 anni a 84 anni.
Occorre quindi ristrutturare il sistema previdenziale per fare fronte alla scarsità di fondi e, in quest’ottica, la logica è lapidaria: più a lungo si vite e meno corposo sarà il cedolino della pensione.
Seguendo questa logica, per determinare l’entità dell’assegno dovrebbero concorrere altri fattori per lo più imponderabili con esattezza.
I parametri della perequazione
A fare stato nell’economia del calcolo della pensione spettante entrano anche il lavoro svolto dal cittadino e il luogo nel quale risiede.
Il lavoro ha un impatto sulla speranza di vita, operai e impiegati ricevono statisticamente la pensione per 17,6 anni mentre, per esempio, gli ex dirigenti percepiscono la pensione in media per 19,7 anni.
La geografia ha il suo peso: in Sicilia la speranza di vita dopo l’uscita dal mondo del lavoro è di 17 anni per gli uomini e di 17,1 anni per le donne, in Trentino si arriva fino a 26 anni.
L’istruzione, sempre secondo i dati Inps, determina in media una differenza nella speranza di vita fino a 5,2 anni a vantaggio degli uomini che hanno un titolo di studio superiore.
Al di là dei numeri e delle differenze tra i generi, appare chiaro che nel proprio elaborato, l’Inps porti a conoscenza del panorama politico la necessità di dedicare attenzione al fatto che i ceti meno abbienti hanno una speranza di vita più breve e mantenere le perequazioni così come sono oggi avvantaggia soltanto i ceti più elevati.
Nel riformare le pensioni occorre quindi tenere conto che il metodo contributivo non può essere uguale per tutti i cittadini e che deve essere indicizzato secondo alcuni coefficienti, tra i quali:
- la professione svolta (con maggiore attenzione alle professioni logoranti)
- il ceto sociale
- il sistema sanitario della Regione in cui vive il cittadino
- eventuali predisposizioni genetiche che incidono sulla qualità e sulla durata della vita
In sintesi, a maggiore età del pensionato dovrebbe corrispondere un assegno vieppiù inferiore. Si tratta di una regola generale che andrebbe però contornata dai parametri citati sopra.
Quanto è realizzabile una riforma simile
Occorrono due riflessioni di superficie. La linea di pensiero secondo la quale occorrono logiche di perequazione diverse da quelle odierne è sostanzialmente corretta, anche se può fare storcere il naso ai più.
Dal punto di vista pratico, una simile proposta è inattuabile perché i parametri da valutare sono troppi e per lo più ignoti. Nessuno, per esempio, può stimare la speranza di vita di una persona geneticamente predisposta a contrarre una malattia oppure che ha svolto una certa professione.
Il riferimento sarebbero i dati statistici i quali, in ogni caso, non possono essere usati per costruire l’impalcatura di un intero sistema pensionistico e, al contrario, rischierebbero di creare sproporzioni insanabili.
La riforma delle pensioni è necessaria ed è sotto la lente di ingrandimento dei governi
che si sono succeduti negli ultimi lustri. Il rapporto dell’Inps dimostra che l’aspettativa di vita non può diventare un parametro ma è proprio l’aumentare della speranza di vita a minare il sistema pensionistico odierno.
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