Il prezzo della linea dura

Due terribili vicende di terrore e di sangue infiammano d’indignazione, in questi giorni, gli italiani. La prima vicenda, remota ma tornata prepotentemente d’attualità, è quella del latitante Cesare Battisti: che dalla legge italiana è stato ritenuto colpevole di feroci (...)
(...) uccisioni, e condannato all’ergastolo. L’ex presidente brasiliano Lula s’è avvalso delle ultime ore di potere prima della scadenza del mandato per decidere che Battisti non deve essere estradato. Dunque non espierà mai in Italia - e certamente nemmeno fuori d’Italia - la sua pena.
L’altra vicenda - anzi un insieme di vicende che assumono la connotazione tremenda del pogrom - riguarda gli attacchi ai cristiani in Paesi - islamici o indù - dove la loro presenza è fortemente minoritaria. La strage di Alessandria d’Egitto dopo la Messa di Capodanno ha avuto l’impronta del fanatismo più feroce. Entrambi i casi hanno suscitato, insieme a proteste massicce, anche la proposta che si arrivi a ritorsioni adeguate contro chi protegge un pluriassassino e contro chi protegge e giustifica i macellai in nome di Maometto. È stato ventilato il boicottaggio di tutti i prodotti brasiliani, sono state suggerite misure di rigore per gli immigrati di fede islamica, alcuni dei quali si distinguono, se non nell’azione, almeno nella propaganda anticristiana.
Mi rendo conto delle motivazioni che hanno ispirato questi spontanei sentimenti e risentimenti. L’opinione pubblica delle società libere è in gran parte stanca, stanchissima di cedimenti e comprensioni. Vorrebbe risposte forti. Più forti di quanto lo sia uno sterile ricorso alla giustizia internazionale dell’Aia e la «viva deplorazione» di questa o quella capitale.
Bisogna allora chiedersi fino a qual punto le risposte di un governo o di più governi possano essere davvero forti. Siamo al solito dilemma. La Moralpolitik esigerebbe provvedimenti drastici, la Realpolitik li vuole, al più, dimostrativi e parolai. Ma a quanti sferzano i politici per la loro mancanza di energia va chiesto quale prezzo sarebbero disposti a pagare - e a far pagare al Paese - in termini politici, in termini economici, in termini sociali e di ordine pubblico - per dar prova di coerenza e punire i trasgressori. Poche ore prima di dare la sua benedizione a Battisti, Lula aveva solennizzato con la sua presenza la nascita d’uno stabilimento della Fiat in Brasile. All’insediamento di Dilma Rousseff - che di Lula ha preso il posto - non c’erano, oltre all’ambasciatore italiano, altri rappresentanti ufficiali del nostro Paese, ma i capi di grandi aziende che in Brasile hanno interessi importanti erano della partita. L’affare Battisti sfumerà nella foschia del tempo, gli affari rimarranno. Oppure vale la pena di rompere con il Brasile, costi quello che costi?
L’islam. Sull’opportunità che i bollori degli imam in Italia debbano essere calmati con misure severe non c’è discussione, ma con loro siamo a livello di manovalanza religiosa. Come vogliamo metterla, invece, con regimi - come la monarchia teocratica dell’Arabia Saudita - che sono ultraconservatori ma che fanno da incubatori dei peggiori fanatismi? Come vogliamo metterla con il colonnello Gheddafi che ostenta la sua islamica potenza e ricchezza? Sappiamo bene che l’Arabia Saudita è meglio tenersela buona perché custodisce un immenso tesoro petrolifero, sappiamo che Gheddafi è anche lui un magnate dell’oro nero, e per di più è in grado di incentivare o vietare gli imbarchi di clandestini verso l’Italia. Il muso duro contro questi potentati, la concezione secondo cui non esiste un islam moderato con cui trattare, potrebbero provocare un ulteriore vistoso rincaro dei carburanti e un afflusso per mare di disperati provenienti da aree africane remote. Dobbiamo affrontare queste alee? La coerenza a volte ha un altissimo prezzo.
Per fortuna non tocca a noi, cittadini comuni, di agire. Noi possiamo sfogarci nei gridi di dolore e nella critica acerba.

Ma chi ha la responsabilità di decidere deve comportarsi come Jimmy Carter - che pretendendo d’ispirarsi alla Moralpolitik ha combinato sfracelli - o ai pragmatici Ronald Reagan e Bill Clinton? Le guerre sante - o, se preferite, le battaglie ideali - sono, come la guerra vera, belle ma scomode.

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