PRIGIONIERI DI SAINT MORITZ

Anche i disagi legati al maltempo hanno reso difficile - secondo alcuni esponenti politici - la partecipazione dei deputati al dibattito sull’amnistia. Colpa insomma d’uno tsunami del quale la totalità degli italiani, a dire il vero, non s’è accorta. Colpa inoltre - Castagnetti dixit - della mancanza d’un voto alla fine della discussione. Bobo Craxi ha affermato che «ora non c’è clima» e bisognerà aspettare la prossima legislatura. Tra tante dichiarazioni devo dire che preferisco per l’occasione quella ruspante ma chiara del ministro Castelli. «Invito chi ha firmato per il dibattito sull’amnistia e oggi non si è presentato in aula a vergognarsi profondamente».
Parole sacrosante, anche se costa una qualche fatica dirsi d’accordo con il Guardasigilli padano. È scandaloso che oltre la metà degli onorevoli invocanti la discussione di Montecitorio sia rimasta altrove: causa - immagino - i rituali inderogabili impegni sciistici. È forse ancora più scandaloso che l’opposizione, di fronte allo squallore di quei banchi deserti, abbia escogitato un alibi prendendosela con Castelli, perché non c’era. Ma gli zelatori della seduta erano loro, non Castelli. E il governo era rappresentato da due ministri e quattro sottosegretari. Insomma, come diceva Vittorio Emanuele Orlando nel suo francese approssimativo, «Écoute qui parle».
Nella parata di chiacchiere cui la televisione ha voluto dare ampia e immeritata risonanza è stata una volta di più dimostrata la straordinaria capacità del condottiero Marco Pannella nel proporre problemi, lasciando poi all’intendenza il compito di risolverli. Ma l’intendenza non segue. Ci vanno ripetendo in tanti che la seduta straordinaria della Camera non è servita a nulla, che mancano i tempi tecnici per varare un provvedimento di clemenza prima che il Parlamento chiuda i suoi lavori, che manca inoltre un’idea condivisa di cosa fare: perché il centrodestra non è concorde, perché i Ds vogliono l’indulto e non l’amnistia, perché Pecoraro Scanio vuole un quorum più basso. «Messa in scena propagandistica», tuona Antonio Di Pietro. Posso confessare che do ragione anche a lui?
Sul Corriere della Sera di ieri Pierluigi Battista aveva scritto che a Montecitorio sarebbe stata in giuoco «la credibilità di un’istituzione». Guai se gli onorevoli avessero disertato. Posta questa premessa, la conclusione è che per la Camera di credibilità ne resta poca. Ma la sinistra ha perso completamente la faccia: aveva lanciato commosse esortazioni per misure di clemenza urgenti, aveva fatto la parte del leone nello schieramento dei 205 deputati la cui firma era stata posta in calce alla richiesta di convocazione della Camera, s’era scagliata contro la sordità della componente reazionaria del centrodestra agli appelli umanitari. Dopodiché, al dunque, il battaglione dei progressisti misericordiosi s’è ridotto a un plotone, Cortina ha prevalso su Regina Coeli e Saint Moritz su San Vittore. Ma allora ha ragione Tonino da Montenero di Bisaccia, era tutto fumo negli occhi, meschinella pubblicità elettorale e chissenefrega dei detenuti.
I quali sono adesso in fermento, e lo si capisce: illusi da anticipazioni che nessuno sa se, come e quando potranno essere esaudite. E qui devo di nuovo solidarizzare con Castelli: «I detenuti non hanno bisogno di politici cinici, demagoghi, pifferai magici, falsi profeti.

Meglio una parola certa, anche se negativa, che false speranze». Una brutta pagina politica - e una brutta pagina morale - quella che è stata scritta ieri a Montecitorio. Oltretutto all’insegna del Natale, il che la peggiora.

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