Prigionieri a Teheran i 15 marinai britannici

Cresce la tensione tra Londra e l’Iran dopo il fermo dei militari della Royal Navy da parte dei Guardiani della rivoluzione nelle acque del Golfo Persico. Gli ayatollah accusano di «azione aggressiva» gli inglesi: «Hanno confessato». E l’Onu approva le nuove sanzioni sul nucleare

Prigionieri a Teheran i 15 marinai britannici

Per ora le autorità politiche iraniane tacciono. Tace persino il fin troppo loquace presidente Mahmoud Ahmadinejad. Parlano solo i pasdaran, i guardiani della rivoluzione, il braccio armato della Rivoluzione islamica. «Hanno confessato di esser entrati illegalmente nelle nostre acque territoriali», annuncia il loro vicecomandante generale Alì Reza Afhar.
Sembra un altro folle rilancio, un altro incomprensibile raddoppio. Ma Teheran non sembra disposta ad abbandonare il tavolo da gioco. Quella sporca quindicina di marinai e marines inglesi catturata dai pasdaran nelle acque dello Shatt El Arab sembra la nuova posta. La nuova puntata al buio da buttare su un piatto di poker già reso infido da contesa nucleare, sanzioni, e confronto con gli americani sul suolo iracheno.
Eppure in questa notte di primavera, mentre il Consiglio di Sicurezza vota e approva le nuove sanzioni punitive contro la Repubblica islamica, tutto si confonde, tutto si mescola. Le sanzioni appena un po’ rafforzate, capaci di mettere in difficoltà la macchina tecnologico-finanziaria iraniana ma non di bloccarla, sono l’unica spada spuntata nelle mani dell’Occidente. Quei quindici inglesi prigionieri possono, invece, diventare lo strumento di un pesante ricatto. Ma anche la scintilla capace di far scattare una nuova pericolosa sfida dalle conseguenze imprevedibili. Bisogna ora capire chi li manovrerà. Bisogna capire se la loro cattura sia il frutto di un piano deciso ai vertici della Repubblica islamica o il gioco d’azzardo di una fazione dei pasdaran decisi a tutto, anche allo scontro con le supreme autorità politiche di Teheran, per ottenere la restituzione dei cinque compagni catturati dagli americani a gennaio dentro il consolato di Erbil, nel Kurdistan iracheno.
Di certo fa specie che i vertici iraniani abbiano autorizzato l’operazione proprio mentre il presidente Mahmoud Ahmadinejad prometteva di voler raggiungere il Palazzo di Vetro per difendere la causa nazional-nucleare davanti al Consiglio di Sicurezza.
La cattura potrebbe anche rivelarsi un’opportunità offertasi inaspettatamente su cui le autorità devono ancora decidere il da farsi. Non è un caso, forse, che i quindici siano stati, secondo l’agenzia non ufficiale Fars, immediatamente trasferiti a Teheran per spiegare la loro «azione aggressiva». Insomma sarebbero stati portati vicino ai supremi centri decisionali e sottratti all’autorità del gruppo di pasdaran che li ha catturati. Peccato però che nessuna autorità politica si prenda la briga di confermare ufficialmente la notizia.
Parlano solo i vertici dei pasdaran e le agenzie di stampa, quasi a far capire che manca ancora una linea politica condivisa. Il numero due dei Guardiani della rivoluzione generale Alireza Afshar fa sapere che «l’indagine procede, i quindici sono in buone condizioni di salute e non ci sono problemi». L’agenzia di Stato Isna spiega che «sono sotto indagine e hanno confessato di aver violato le acque territoriali della Repubblica islamica». Indicazioni non certo sufficienti a soddisfare Londra che ribadisce la tesi del prelevamento in acque territoriali irachene, continua a chiederne l’immediato rilascio e tiene sotto pressione la rappresentanza iraniana a Londra.
Il sottosegretario del Foreign Office Lord ha convocato l’ambasciatore Raspoul Movahedian tenendolo bloccato per almeno un’ora ed esigendo precise garanzie che consentano quanto prima al consolato a Teheran di incontrare i prigionieri e verificare le loro condizioni.
All’orizzonte già si delinea però il rischio di un braccio di ferro o di una richiesta di scambio.

I gruppi più conservatori chiedono di non liberare i quindici se non in cambio dei cinque iraniani catturati dagli americani nel consolato di Erbil. E tanto per tenere alto il clima della sfida, cinquecento studenti dell’estrema destra si sono riuniti sulle spiagge prospicienti lo Shatt El Arab gridando «Morte all’America, morte all’Inghilterra».

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