Processi sempre più lunghi: «Dall’indulto soltanto danni»

Lo sconforto del presidente della Corte d’appello di Roma Lo Turco all’inaugurazione dell’anno giudiziario Il procuratore Vecchione: «Alcuni uffici al limite dell’ingestibilità»

Processi sempre più lunghi: «Dall’indulto soltanto danni»

Interventi legislativi deludenti, fondi che non bastano mai, organici ridotti all’osso, tempi ancora troppo lunghi. È sempre più precaria la salute della giustizia nel distretto del Lazio. Quella che emerge dalla relazione del presidente della Corte d’appello di Roma, letta ieri durante la cerimonia per l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, è la fotografia di una giustizia malata, malata di un male incurabile. E l’indulto non ha fatto altro che peggiorare le cose. Lo Turco ne parla come di «un intervento che in non pochi casi ha assicurato di fatto l’impunità». Invece di ridurre le pendenze negli uffici giudiziari, sottolinea l’alto magistrato, «ha prodotto l’effetto negativo della necessità di celebrare un numero rilevantissimo di processi in relazione ai quali l’eventuale pena non verrà mai espiata». Contro l’indulto va già duro anche il procuratore generale Salvatore Vecchione: «L’autorità giudiziaria lavorerà in buona parte a vuoto e per un bel po’ di anni». Insomma, le poche riforme arrivate al capolinea non hanno dato l’esito sperato. «Gli ultimi interventi legislativi - osserva Lo Turco “sconfortato” - sono destinati a inasprire anziché risolvere i problemi».
E a segnalare la persistenza del disagio, nell’aula magna del palazzo della Corte d’appello, c’è una toga nera poggiata sul leggio. Ce l’hanno messa i magistrati, che ora chiedono di riprendere il dialogo, di essere interpellati per dare via finalmente a un processo di modernizzazione del sistema giustizia. Per ora le cose sembrano solo peggiorare. «Ancora manca - denuncia il presidente della Corte d’appello di Roma - il fermo proposito di affrontare, nella loro globalità, e reciproca interferenza, le disfunzioni del sistema giudiziario».
I tempi dei processi invece di ridursi si allungano, passando da 331 giorni a 371 per i giudizi monocratici e da 478 a 532 per quelli collegiali. «E nel penale - si legge nella relazione - i tempi lunghi avvantaggiano i colpevoli, ma danneggiano in maniera inesorabile gli innocenti e le persone offese che vedono frustrate le loro aspettative di giustizia». Tra le ragioni della lentezza processuale, oltre alla carenza di mezzi e di personale («se mancano le risorse finanziarie non si può pretendere un funzionamento ottimale del sistema giustizia»), c’è anche «la scarsa propensione delle parti a ragionevoli soluzioni transattive, per cui è ancora troppo limitato il ricorso a forme di risoluzione delle controversie alternative al processo». Parlando dell’«incivile lentezza dei processi» il pg Vecchione sostiene che «la crisi è dei sistemi soprattutto processuali». «La realtà - dice - è che i nuovi codici dovranno essere meno pedanti e tuttavia più rigorosi e semplici nei loro principi direttivi». Il procuratore generale parla di «uffici oltre il limite dell’ingestibilità». «Siamo intervenuti presso il ministero della Giustizia, e tuttora continuiamo a farlo - spiega - a causa delle gravi e inaccettabili carenze di personale amministrativo denunciate da tutte le procure del distretto». Poi Vecchione punta il dito contro quei consulenti tecnici chiamati dai pm che non rispettano i termini di deposito delle perizie. «Si tratta di inadempimenti che sono sovente causa di gravi ritardi nella conclusione della fase delle indagini preliminari. Si è pure raccomandato - continua - che gli onorari siano commisurati ai termini stabiliti dal magistrato e non a quelli conseguenti a ritardi non autorizzati e quindi illegittimi». Il presidente Lo Turco, dopo aver ringraziato il presidente Napolitano per l’attenzione «costante» riservata ai problemi della giustizia, rivolge un appello alle forze politiche: «Restiamo in attesa delle indispensabili iniziative del Parlamento e del governo. Dai passi che verranno fatti nell’immediato dipenderà il mantenimento del sistema democratico nel nostro Paese».
Nel frattempo la piaga della giustizia non accenna a rimarginarsi.

Come osserva con poche parole il presidente del consiglio forense di Roma, Alessandro Cassiani: «Da troppi anni l’anno giudiziario è occasione per denunciare mali che rimangono senza risposte. La situazione adesso si è però ulteriormente e drammaticamente aggravata».

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