Processo a Berlusconi Ci risiamo: è ritornato il paese degli avvoltoi

Ieri il Palazzo di Giustizia di Milano, domani la Camera. Gli avvoltoi che da 18 an­ni svolazzano sul pre­mier già assaporano il banchetto, scommet­tendo sulla vittoria delle toghe e non solo

Processo a Berlusconi 
Ci risiamo: è ritornato 
il paese degli avvoltoi

Ieri l’aula del Palazzo di giustizia di Milano con il processo Me­diatrade, domani quella della Camera dei deputati con la votazione sulla legge della prescri­zione breve per incensu­rati. Lo scontro tra Silvio Berlusconi e i magistrati è entrato nella fase finale. Gli avvoltoi che da 18 an­ni svolazzano sul pre­mier e sui governi di cen­trodestra già assaporano il banchetto, scommet­tendo sulla vittoria delle toghe e non soltanto. Il fronte si salda infatti con una Unione Europea in­cosciente che non ne vuo­le sapere di prendersi in carico una quota dei clan­destini sbarcati in Italia non certo perché invitati. Casini, Fini e Bersani, buonisti a parole, godo­n­o a vedere Francia e Ger­mania chiudere le porte in faccia ai clandestini. Dicono che è colpa del no­stro governo, tacciono la verità, cioè che una bana­le e squallida esigenza elettorale di Sarkozy e del­la Merkel, due premier al­la canna del gas battuti nelle urne e nei sondaggi dalla loro destra più in­transigente. Che siano i magistrati, le escort, o la Francia, ben venga tutto ciò che in­fanga o mette in difficoltà l’Italia. Gli sfascisti si alle­ano con chiunque possa servire a raggiungere l’obiettivo. Un assalto quotidiano al quale si ag­giunge il mal di pancia di alcuni uomini della mag­gioranza sulla gestione del Pdl. Fatto che ha por­tato Giuliano Ferrara, do­menica su questo giorna­le, a lanciare l’ipotesi che Silvio Berlusconi possa presto mandare tutti a quel paese e ritirarsi a vi­ta privata. Sogno o realtà che sia, Ferrara ha fatto esultare gli elettori di mezza Italia e preoccupa­re l’altra metà, quella di centrodestra, tanta è la fi­ducia e l’affetto nei con­fronti del premier.

Il messaggio era però di­retto a quelle migliaia di persone che costituisco­no la classe politica e am­ministrativa del Pdl. La ri­conoscenza infatti è mer­ce rara, se poi è combina­ta co­n l’arroganza la men­te si appanna. E per esem­pio ci si dimentica che Berlusconi da diciotto an­ni garantisce l’elezione certa, cioè un posto di la­vo­ro ben pagato e uno sta­tus sociale che per la mag­gior parte di questi signo­ri non erano raggiungibili attraverso al­tre vie. I nostri onorevoli, i mi­nistri eletti sotto la bandiera Pdl hanno infatti goduto di un effetto traino nazionale, l’ef­fetto Silvio, paragonabile a quello che nella prima Repub­blica veniva dall’appartenen­za ai tre grandi partiti, Dc, Pci e Psi.
Qualcuno invece si illude che il Pdl sia come la Dc, cioè un partito più forte dei suoi leader, e che per tanto è scala­bile
sul modello delle corren­ti Pd, partito che in due anni è passato di mano tre volte (Veltroni, Franceschini, Ber­sani) senza peraltro cavare un ragno dal buco. Oppure che, via Berlusconi, si possa andare avanti con un altro leader (Tremonti? Monteze­molo?) come se nulla fosse. Il dopo Berlusconi invece, a mio avviso, sarà un Irak: guer­ra civile senza quartiere, im­plosione del centrodestra, vittoria per mancanza di al­ternative della sinistra che inizierà quel ciclo di coman­d­o che aveva partorito e abor­tito nel ’94.

È vero che la mamma dei fessi è sempre incinta, ma la vicenda Fini-Bocchino qual­che cosa dovrebbe insegnar­la. Cioè che meschine que­stioni di potere personale e di ricatti non portano a nulla per il Paese e neppure per se stessi. Non credo che qualcu­no, in caso di affondamento di Berlusconi, possa sperare di salvarsi.

Bene che vada, i naufraghi del Pdl farebbero la fine dei tunisini che appro­dano a Lampedusa, vaghe­ranno per la politica, sballot­tati da una parte all’altra sen­za più cittadinanza.

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