Processo Kanun, chiesti 500 anni di reclusione

Piero Pizzillo

Non demordono i pubblici ministeri del cosiddetto processo «Kanun» (dal nome del codice d’onore albanese), che ha visto alla sbarra una potente organizzazione di criminali provenienti dall’Albania, accusata di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzata allo sfruttamento della prostituzione, e al compimento di altri reati, come traffico di droga, vendita di armi, omicidio, rapine e estorsioni.
Il 19 maggio 2005, nel processo di primo grado, si sono visti ridimensionare le pene richieste dal tribunale di Chiavari, presieduto da Raffaele Di Napoli (giudici a latere Grasso e Bernocco). Per giorni si parlò di sentenza choc, di crollo dell’impianto accusatorio, visto che su 94 imputati ben 58 furono scagionati da ogni imputazione, alcuni dei quali, presenti in aula, vennero immediatamente scarcerati. Il tribunale, dopo aver escluso l’imputazione di associazione di stampo mafioso, emise condanne per 36 imputati, per in totale di 260 anni di reclusione contro gli 800 circa chiesti dall’accusa. Ebbene ieri, nel processo di secondo grado, dinanzi alla Corte d’appello presieduta da Carlo Caboara (consiglieri Massimo Cappello e Vallarino, sostituto procuratore generale Pio Macchiavello), i pm Silvio Franz e Francesca Nanni hanno insistito nella loro tesi, chiedendo non solo l’aggravante di mafia per 33 degli imputati, ma anche un inasprimento di pena, da 5 a 10 anni, per ciascuno degli imputati, sui 260 anni inflitti dal tribunale. I rappresentati dell’accusa chiedono una condanna complessiva di oltre 500 anni di carcere. Per quanto riguarda i ricorsi in Cassazione della Procura contro 18 assoluzioni, la questione deve ancora essere decisa dalla Corte suprema , visto che pende su di essi la legge Pecorella sull’inappellabilità.

Da stamane il processo riprende con le arringhe difensive. La sentenza è prevista per il 24 gennaio. Uno dei difensori, Stefano Sambugaro, ha detto: «I pm ripropongono l’imputazione di mafia per recuperare la credibilità di 4 anni di indagini».

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