Prodi: «La cittadinanza per tutti gli immigrati»

Prove di dialogo, oggi Berlusconi si confronta con Rutelli

Stefano Filippi

nostro inviato a Caorle (Venezia)

I margheritini di Caorle gli avevano preparato una sorpresa: un risciò per pedalare sul lungomare. Una sgranchitina prima della raffica di domande di Giulio Anselmi, direttore della Stampa, all'inaugurazione della festa della Margherita. Un corteo di ciclo-ulivisti, prima fila con il ministro Rosi Bindi, era pronto a scortarlo dal santuario della Madonna dell'Angelo alla piazza del Duomo. Ma il premier ha trascurato i pedali e ha preferito passeggiare da una chiesa all'altra, chiacchierando con Francesco Rutelli e Willer Bordon e ricevendo dai veneti applausi (pochi), complimenti («sei più bello di Berlusconi») e rimproveri («hai rovinato l'Italia»). La Bindi ha mollato la bici e camminato anche lei.
Sul palco Romano Prodi non ha trattato soltanto di pensioni e legge finanziaria, i temi più attesi. E ha scelto questo angolo di Nordest sul confine tra Veneto e Friuli, vecchia terra di emigrati ora arricchitasi e diventata attraente per tanti extracomunitari, per precisare la linea del governo sull'immigrazione. Che è la seguente: «L'immigrazione deve finire con la cittadinanza, come avviene in tutto il mondo». Cioè ogni immigrato deve sapere che, dopo una certa permanenza e se dimostrerà di essersi integrato, prima o poi diventerà cittadino italiano. «Non ci impuntiamo sul tempo che sarà necessario - ha detto riferendosi alla proposta del ministro Giuliano Amato di ridurre il periodo a cinque anni - possono essere anche sei o sette, ma vogliamo introdurre regole che cambino l'idea di cittadinanza. Anche questo è fare felice la gente».
Prodi ha cercato di spiegarsi con un esempio: «Il prossimo primo ministro del Belgio, così sembra, sarà De Ruvo, che è nato in Italia e poi emigrato. Là nessuno si scandalizza. Questa è civiltà». Anselmi gli ha fatto notare che esiste una certa differenza tra un italiano che si integra in Belgio e - poniamo - uno sciita in Italia. Il premier si è indispettito: «E che facciamo? Cinque anni per la cittadinanza a un polacco e 27 per uno sciita? No. Dobbiamo certo fare un esame all'immigrato, verificare che viva nel nostro Paese da un certo tempo, ne conosca la lingua, i costumi, le leggi, che si impegni a rispettarle, ma poi organizziamo una bella cerimonia solenne, suoniamo l'inno di Mameli e gli conferiamo la cittadinanza. Nei Paesi civili si fa così».
«È mai possibile - ha aggiunto - che diamo la cittadinanza neppure agli stranieri nati qui, che magari parlano veneziano o bolognese stretto, mentre la concediamo subito a chi combina matrimoni fasulli? Nella pianura padana non c'è una mucca che non venga munta dai sikh e io non ho mai incontrato una comunità che dia maggiore collaborazione di loro. Non ingigantiamo i problemi dell'integrazione». Prodi ha negato che gli sbarchi di clandestini siano aumentati per le dichiarazioni di vari ministri che hanno dato l'impressione di un minor rigore: «Il motivo è la povertà dei Paesi d'origine».
Quanto alla congiuntura politica, il premier ha detto: «Questa maggioranza può anche rafforzarsi, ma senza operazioni di trasformismo. Le operazioni di trasformismo hanno per tanto tempo rovinato la vita di questo Paese». Carota e bastone verso l'opposizione, è il modo del premier di preparare il terreno per oggi pomeriggio, quando sullo stesso palco andrà in scena l'attesissimo faccia a faccia tra Rutelli e Silvio Berlusconi. Altra stoccata parlando del partito democratico: «Il Paese ha bisogno di un partito di progressisti e uno di conservatori. Io penso al primo, gli altri si arrangeranno per l'altro. E il partito democratico è un'evoluzione necessaria».

Prodi non ha voluto commentare le perplessità di Walter Veltroni: «Il partito unico dei riformisti c'è già. Ci siamo presentati assieme tre volte alle elezioni, è ora di trasformare il contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato».

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