Prodi e Bertinotti abbattono la Quercia alla prima ripresa

L’incontro con il leader della coalizione frutta al segretario Prc la presidenza della Camera, contesa dai Ds

Roberto Scafuri

da Roma

Non c’era torta, né champagne, né candeline. Non c’era pillola da indorare, né ricorrenza da festeggiare. La pietanza semmai è arrivata dopo, a cose fatte, con la resa del Botteghino e la gran rinuncia di D’Alema alla poltronissima di Montecitorio. Quello che si è consumato tra Prodi e Bertinotti, è stato così semplicemente l’incontro «sereno e cordiale» di quelle che si ritengono le anime dell’Unione. Il leader del costituendo Partito democratico, magari subìto più che amato dai popoli ds e dl, assieme al leader della costituenda Sinistra europea o radicale, magari non riconosciuto come tale da tutte le famiglie comuniste di cui l’Italia è prolifica. Abbraccio simbolico che è comunità d’intenti, prima ancora che accordo politico. Coincidenza di interessi, oggi che le sorti dell’uno dipendono da quelle dell’altro. Con Bertinotti alla Camera, Prodi incasella la prima pedina dell’agognata stabilità di governo. E Bertinotti può tornare al suo popolo, non avvezzo al potere e ai valori della governabilità, con un ruolo di garante istituzionale che rende matura la svolta di Rifondazione. Svincolandola dallo spettro di un «appoggio esterno» di Prc al governo che pure è ricorso nel colloquio tra i due. Irremovibile ad «andare avanti», Fausto, come aveva ripetuto per telefono a D’Alema intorno alle 14 e più tardi a Prodi. «La candidatura resta in campo», aveva insistito Giordano al termine dell’incontro di Ss. Apostoli.
Un contro-pressing, rispetto a quello dei Ds, che metteva D’Alema con le spalle al muro, e per colpa di una caparbia e forse un po’ sospetta sottovalutazione del segretario ds, Fassino: «Qualcosa non ha funzionato», accusava D’Alema. Invece Prodi e Bertinotti marciavano l’uno come stampella dell’altro, e l’incontro di tre quarti d’ora, che pure sembrava uno stallo, finiva per proiettare il leader prc verso la prima poltrona della Camera. La stessa che toccò a Pietro Ingrao, a suggello del compromesso storico. L’atipicità del leader del Pci di allora coincide con l’atipicità di Bertinotti rispetto agli eredi diretti di Togliatti e Berlinguer. Non fu un caso, nella solidarietà nazionale, che il simbolo dell’intesa si incarnasse nell’istituzionalizzazione di un capo del Pci sognatore e movimentista, poco incline a logiche di governo. Abito che oggi calza a pennello su Bertinotti, quasi come i gessati Rubinacci che i gossip attribuiscono ai suggerimenti dell’amico Mario D’Urso.
Insomma, il Bertinotti che ieri sera poco prima delle otto usciva sorridente dallo studio di Prodi era in fondo lo stesso che vi era entrato, e che perpetuava il gioco di ruolo di entrambi. «Abbiamo continuato il nostro confronto - diceva -... La riserva si scioglierà quando deciderà Prodi». Prodi aveva dichiarato di volersi prendere «un paio di giorni», e solo la rinuncia di D’Alema gli consentiva di programmare un week end più sereno. Una decisione «non difficile ma sofferta», l’aveva definita il leader dell’Unione, spedendo il fidato Ricky Levi da Fassino in via Nazionale verso le 18. Quando mezz’ora dopo l’ambasciatore tornava a riferire che le acque nei Ds si stavano smuovendo, Bertinotti era già arrivato nello studio prodiano di Ss. Apostoli. Era così compiuto il gioco di delicati arrocchi: D’Alema non poteva non cogliere che stavolta la politica marciava dalla parte di Prc e non dei Ds. «La candidatura di Bertinotti non solo rispecchia il pluralismo dell’Unione, ma ne rafforza anche la sua coesione», era il commento di Giordano, ormai sicuro reggente del partito con l’elezione di Bertinotti alla Camera. Concetto completato dal capo dell’organizzazione, Ferrara: «Abbiamo rappresentato le istanze radicali tenendole nell’unità».

E difatti Bertinotti arrivava all’incontro con Prodi forte di una pronuncia compatta del partito. Non era la battaglia personale di Fausto, questa, non lo sarà neppure quando diventerà un uomo solo al comando. Di Montecitorio.

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