Prodi resta in silenzio e non sale sulla stessa barca di D’Alema

Il Professore non ha ancora speso una parola in difesa dell’alleato, attaccato sul caso Bpi. E il presidente ds sarebbe «infuriato e addolorato»

Luca Telese

da Roma

Intorno al leader maximo continuano a prodursi tanto fragore, e un silenzio assordante, quello del leader della sua coalizione. Le solidarietà a Massimo D’Alema sono state molte, non tutte limpidissime, talune evidentemente «pelose», e solo a sentir pronunciare il nome del «nemico» (ovvero il quotidiano che lui ritiene responsabile di tutte le polemiche sulla sua barca e al leasing acceso alla Bpi di Fiorani) Massimo D’Alema vede rosso. Così, quando gli chiedono se dietro la presunta campagna di denigrazione che si è abbattuta su di lui ci sia Il Corriere della sera di Paolo Mieli, l’ex premier (lo ha fatto intervistato da Rula Jebreal a Omnibus su La 7) si lascia sfuggire una vampata di umor nero: «Basta leggerlo ogni mattina...».
E quindi sembra quasi una calcolata stoccata di malizia quella con cui Liberazione gli risponde pubblicando «il poster» dello stesso Mieli a tutta pagina con il pretesto della campagna abbonamenti: il direttore de Il Corriere sorride a mezzo busto e fa da testimonial: «Mi abbono a Liberazione perché mi è indispensabile». Intanto, sul giornale comunista, del caso scrive la «condirettora» Rina Gagliardi per dare un colpo al cerchio e uno alla botte: «Sulla barca lo difendiamo, sull’Unipol no».
Se metti insieme questi frammenti, scopri che la «campagna di stampa» messa in piedi da D’Alema per opporsi alla «campagna di stampa» contro D’Alema, è diventata una specie di gioco di società, un termometro di umori e amicizie, un indicatore per capire cosa succede dentro l’Unione, dove a parole (quasi) tutti solidarizzano, e in realtà molti godono delle sventure para-veliche, e della meravigliosa epopea del leasing scritta in questi giorni a colpi di estratti conto e di querele (sette quelle annunciate contro i quotidiani, a quanto dice lui stesso, «Quelle che siamo sicuri di vincere»).
Le solidarietà, dicevamo, sono a corrente alternata: Europa il quotidiano della Margherita - per esempio - un giorno scrive «Siamo tutti sulla stessa barca» (prendendo apertamente le difese del presidente dei Ds), l’altro si esercita con il suo direttore, Stefano Menichini per servirlo di barba e capelli: «D’Alema però è impegnato in una guerra senza quartiere esattamente lungo questo crinale semantico-politico che rischia di procurare qualche scivolata». E poi, con un altro oculato colpo di spazzola: «Nel momento in cui il presidente dei Ds denuncia l’anticomunismo strumentale che lo perseguita non dovrebbe dimenticare ciò che lo ha mosso come leader da dieci anni: la consapevolezza del continuismo che ha segnato la vita del suo stesso partito dalla Svolta del 1989».
E così, il quotidiano della sinistra centrista, con i suoi dosaggi e i suoi contrappunti rende chiaro per addizione quello che il capo della coalizione sta comunicando per sottrazione: perché se c’è un leader che ancora non ha speso parole sulla vicenda, quello è proprio Romano Prodi.
È stato D’Alema a dire cautamente, sempre nella puntata di Omnibus di cui sopra: «Io comunque sono per il rispetto della Costituzione: deciderà Prodi. I ministri li sceglie il presidente del Consiglio e li nomina il presidente della Repubblica ... io ci sarò in qualche parte». Ma a nessuno è sfuggito che dopo mesi di alleanza tattica sulle vicende unitarie della lista unica, da tempo il Professore di Bruxelles abbia fatto mancare qualche parolina dolce per uno dei suoi principali alleati. Scrive Il Foglio che questo silenzio «molto lo addolora e molto lo fa infuriare».
Ma è noto che il retroscena della vicenda Unipol, come ha detto Francesco Cossiga, fosse anche un derby fra due poteri antitetici «quello fra gli eredi della cosiddetta finanza bianca e gli eredi della cosiddetta finanza rossa», quello tra i Bazoli e i Profumo da un lato, i furbetti, i «capitani coraggiosi» e l’Unipol dall’altro, quello (ancora parole del presidente emerito) «fra Margherita e Ds». E dunque il silenzio di Prodi, in queste ore, è, per i retroscenisti incalliti un messaggio chiaro, così come le sue dichiarazioni sulla scalata e su Fazio («Fassino e D’Alema non hanno mai difeso Fazio»), che suonano più come un rabbuffo che come un attestato.
Già, perché l’estate scorsa, quando il Professore e i suoi uomini tiravano a palle incatenate sulle scalate dei «cooperatori» e degli «immobiliaristi», D’Alema e Fassino in realtà spendevano parole ben più possibiliste; e quando Arturo Parisi impegnò una pagina dell’odiato Corriere della sera per denunciare il ritorno di una nuova «questione morale», gli uomini dei Ds lo sommersero di anatemi: bruciava la scelta non casuale di un vocabolo così «berlingueriano», e bruciava ancor di più il suo uso contundente, che ovviamente aveva una ricaduta indiretta anche sugli uomini del Botteghino.

E che sede hanno scelto, i due superdirettori, Ezio Mauro e Mieli (ancora lui), per far le pulci ai post-comunisti abituati a tramandarsi il potere per «via ereditaria» e a piangersi figli di un Dio minore? Guardacaso una convention per il partito Democratico costruita a Roma intorno a Prodi. Saranno pure «sulla stessa barca», oggi; ma non è detto che si ritroveranno sulla stessa scialuppa, domani.

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