Prodi, dalla Tav al tavolo

Quando è nelle peste, Prodi ha una grande risorsa: il tavolo. E mai più d’ora ne ha avuto bisogno. Apprendiamo infatti dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta che il prossimo 29 giugno sarà convocato un tavolo politico sulla questione della Tav: ossia dell’alta velocità ferroviaria e del tunnel tra l’Italia e la Francia.
La mia fantasia non è così fervida da saper immaginare - tranne gli immancabili litigi - ciò che avverrà, nella data fatidica, attorno a quel tavolo. Vi si troveranno insieme alcuni personaggi che sulla Tav la pensano in modo opposto. Antonio Di Pietro, ministro per le infrastrutture, sostiene che la Tav va bene, e che del tunnel non si può fare a meno essendo impensabile «una ferrovia che si inerpica per le montagne». Anche il ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi approva il progetto, caldeggiato dalla «governatrice» del Piemonte Mercedes Bresso e dal sindaco di Torino Chiamparino.
Ma il ministro delle Politiche sociali Paolo Ferrero rammenta ai colleghi che la Tav non era scritta nel programma del centrosinistra, il sottosegretario all’economia Paolo Cento, cui dovrebbe premere lo sviluppo delle infrastrutture, è contentone «perché è stato chiuso il cantiere di Venaus, perché i lavori da settimane sono fermi, perché non si sa quando riprenderanno». Questo dei governanti che esultano per la non realizzazione di opere necessarie al Paese è un interessante inedito dei comportamenti governativi. Forse in un prossimo futuro ci toccherà di vedere - ma già ci andiamo vicini - ministri che tifano per la criminalità, o almeno per alcune sue specializzazioni eversive.
A Romano Prodi tocca l’impresa di comporre in armonica unità d’intenti questo marasma conflittuale, e lui, lo si è già accennato, non si tira indietro. Mette le gambe sotto il tavolo di turno, e con questo vorrebbe farci credere che tutto va nel migliore dei modi. Invece va bene nel peggiore. La Tav non è un problema interno italiano. È un problema di enorme rilevanza internazionale, e la signora Loyola de Palacio, coordinatrice del progetto europeo sull’Alta velocità, ha incontrato Prodi nei giorni scorsi per chiedergli spiegazioni. Lui, a quanto hanno riferito le cronache, s’è preoccupato di tranquillizzare la signora. Resta tuttavia da dimostrare che ci sia riuscito. Anche nelle scarne indicazioni trapelate dalle stanze dei bottoni le spiegazioni di Prodi sono apparse imbarazzate ed evasive, in uno stile da don Abbondio sollecitato a celebrare quel matrimonio che «non s’ha da fare».
I «bravi», nelle attuali circostanze, sono appunto i Ferrero, i Cento, i Pecoraro Scanio, gli allarmisti che denunciano in Val di Susa, senza alcuna prova, la presenza d’amianto micidiale. E allora Prodi dice e non dice, la Tav gli sta molto a cuore ma «non ci saranno forzature», le procedure decisionali sono state ineccepibili ma si ricorrerà ad altri tavoli, tavolinetti, sedie, sgabelli e arredamento vario. Bene la Tav «nel pieno rispetto della volontà delle comunità locali», il che, tradotto in chiaro, significa male la Tav. Suppongo che - sulla falsariga delle intercettazioni telefoniche da cui siamo inondati (beninteso senza corredo di parolacce) - il dialogo tra Prodi e la signora de Palacio sia stato suppergiù di questo genere.
De Palacio: «Allora la Tav la fate?». Prodi: «Ehm, ehm, la nostra volontà è orientata in quel senso. A proposito, oggi è molto caldo». De Palacio: «Ma la galleria ferroviaria vi va bene?». Prodi: «Ehm, ehm, le gallerie mi sono sempre piaciute, gli Uffizi in particolare. Quando verrà un po’ di pioggia?».

De Palacio: «Cosa posso riferire a Bruxelles?». Prodi: «Ehm, ehm. Riferisca che la Tav è una priorità, ma secondaria. E auguri di buone vacanze. Io non so nemmeno se riuscirò a prendermele, con i tipi che mi trovo al governo. Ma ho il tavolo».

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