Il Professore sogna una super Stet ma nasconde le carte a Bertinotti

Prc pensa a una società pubblica che segua il modello inglese, mentre il vero obiettivo del premier è rinazionalizzare i telefoni

Fabrizio Ravoni

da Roma

«Nelle telecomunicazioni ci vuole una grande capacità di impresa privata e di iniziativa pubblica». Fausto Bertinotti è ieratico quando pronuncia queste parole. Gennaro Migliore è più pratico: basta applicare - dice - quel che c’è scritto nel programma dell’Unione. Le reti - ricorda - devono essere un bene comune. Ma «come» questo asset privato (di Telecom) possa diventare pubblico, non lo dice. Anzi, il capogruppo alla Camera di Rifondazione diventa enigmatico. «Esistono varie ipotesi. Certo, non attraverso il “pizzino” di Rovati. O meglio - aggiunge - c’è anche la soluzione Cassa depositi e prestiti. Ma non è l’unica. Eppoi, già in Inghilterra la rete è scorporata dal gestore telefonico».
I problemi di incomunicabilità all’interno della maggioranza sono enormi. Bertinotti sostiene la mano pubblica in economia, come ipotizzato dallo schema Rovati. Ma Prodi e Bertinotti pensano a due cose diverse. Gli uomini di Rifondazione pensano al modello inglese; Prodi alla Stet.
Il riferimento al caso inglese, infatti, può creare equivoci. A quanto pare, voluti; e a questo punto forse anche favoriti da Palazzo Chigi. In Gran Bretagna, infatti, le reti di infrastrutture sono state trasferite in una società (sempre controllata da British Telecom) per dare maggiore trasparenza alla contabilità industriale. Questa società resta collegata all’operatore privatizzato (è una business unit, retta da un consiglio di amministrazione indipendente) e non è stata nazionalizzata.
Ne consegue che i riferimenti al caso inglese sono impropri. Forse, alimentati a bella posta per confondere i progetti reali. A differenza dell’energia, dove i momenti della produzione, trasmissione e distribuzione sono diversi, nelle telecomunciazioni sono un atto unico. Quindi, se la volontà di una fetta della maggioranza è di far passare sotto il cappello pubblico le reti infrastrutturali di Telecom, a queste reti deve essere agganciato anche il software che porta le informazioni sulle reti.
È questo l’obbiettivo di Bertinotti? Era questo l’obbiettivo finale dello schema Rovati? Se così fosse, nella nuova società pubblica - spiegano gli esperti del settore - verrebbe trasferito l’intero core business di Telecom. Insomma, i telefoni verrebbero ri-nazionalizzati.
Perché l’operazione vada in porto, però, serve una legge sulla fattispecie di quella fatta da Bersani per l’energia. E non basterebbe. Si dovrebbe anche creare una nuova società (Newco) interamente controllata dal Tesoro, sul modello della Fintecna, di Sviluppo Italia, della Cassa depositi e prestiti. Ovviamente, il collocamento della Telecom nazionalizzata attraverso l’«operazione reti» nella Cassa depositi e prestiti sarebbe quello più naturale. Oltretutto, la società presieduta da Salvatore Rebecchini ha come «missione industriale» proprio quella nelle infrastrutture. Ma l’utilizzo di questo veicolo societario sarebbe troppo simile a quello di Rovati finito sui giornali.
Il progetto, però, non è tramontato, ma solo ridimensionato. Non più una nuova Iri, ma una nuova Stet. E chi ha i capelli grigi ricorda il dibattito ai tempi delle Partecipazioni statali, quando si discusse a lungo se era meglio fare una «Super Iri», o una «Super Stet». Gli uomini di Prodi, oggi, starebbero valutando la seconda opzione, visti i problemi politici creati da un possibile intervento, a fini politici, della Cassa depositi.
I risultati politici di una nuova Stet in mano prodiana sarebbero simili a quelli della nuova Iri, immaginata dallo schema-Rovati.

Fra l’altro, l’operazione avrebbe anche lati positivi. Per esempio, un nuovo consiglio d’amministrazione, un nuovo presidente, un nuovo amministratore delegato. Una nuova classe di boiardi: categoria dello spirito che Rovati continua a difendere.

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