La proposta/Vendere aziende pubbliche per ridurre il debito

Quando ci sono troppi debiti, con relativo carico di interessi, una famiglia e una impresa saggia cercano di vendere i beni che non sono necessari. Si va a cercare il «grasso» superfluo che non serve e, magari, crea danni. Invece nello Stato e soprattutto nelle Regioni e negli enti locali si sta facendo il contrario. Il che è assurdo

Quando ci sono troppi debiti, con relativo carico di interessi, una famiglia e una impresa saggia cercano di vendere i beni che non sono necessari. Si va a cercare il «grasso» superfluo che non serve e, magari, crea danni. Invece nello Stato e soprattutto nelle Regioni e negli enti locali si sta facendo il contrario. Il che è assurdo. Nel 2009 le società per azioni pubbliche minori (cioè diverse da Eni, Enel, Finmeccanica, Ferrovie, Anas) sono aumentate di numero dalla bella cifra di 4.461 a quella di 4.741, con un aumento del 6,3 per cento, mentre i consorzi, quasi tutti di enti locali, sono aumentati da 2.291 a 2.365, aumentando del 3,2 per cento.
Ciascuna di queste società ha mediamente tre amministratori, mentre i consorzi ne hanno quattro, generalmente stipendiati e con vari appannaggi, come l’auto, l’ufficio, i telefoni e telefonini e le segretarie e gli apparati elettronici. Ci sono così 15mila amministratori di società pubbliche, in gran parte di Regioni e soprattutto di enti locali, e 9.700 amministratori di consorzi. Alcuni necessari, come quelli dei bacini imbriferi montani, altri molto opinabili, come quelli dei sistemi informatici e delle cosiddette multi utility, che sono le imprese pubbliche locali di acqua, gas, energia elettrica, rifiuti, autobus e via elencando. Fra imprese controllate e imprese partecipate le Regioni ne hanno 1.410. Di cui 434 controllate direttamente. Per la Toscana e l’Umbria queste imprese contribuiscono al prodotto regionale con una percentuale attorno all’1,5 per cento, una buona fetta, a cui si aggiunge la quota delle imprese comunali e provinciali, con evidente possibilità di sistemare propri politici come amministratori e galoppini elettorali come lavoratori.
In Campania le imprese regionali generano addirittura l’8% del Pil dell’intera regione. E aggiungendo le imprese comunali e provinciali è chiaro che il settore delle imprese pubbliche è molto grosso. E poiché si tratta di enti pieni di debiti, sembrerebbe il momento di cercare di privatizzare. Anche perché i costi per gli amministratori, comunque, sono spesso eccessivi. L’amministratore delegato uscente di Acea, la multi-utility del Comune di Roma, Andrea Mangoni, nel 2009 ha avuto 3 milioni e centomila euro, di cui 2 milioni 934mila come buona uscita e il resto come compenso per i mesi di gennaio e febbraio e i primi 10 giorni di marzo, poiché il giorno 11 ha dato le dimissioni. È vero che l’Acea ha circa 30mila addetti, ma si tratta di cifre sproporzionate per una impresa pubblica locale, il cui mercato è assicurato e di (quasi) monopolio. Giorgio Ballini, amministratore delegato dell’aeroporto di Pisa, percepiva nel 2009 una retribuzione di 376mila euro, mentre il valore di capitalizzazione della società che lui gestisce è solo 268 volte il suo stipendio.
Questa selva di società pubbliche e consorzi va disboscata in due modi: eliminando quelli inutili, ridimensionando quelli che servono ma sono sovradimensionati nel personale e nelle cariche direttive e nei relativi compensi e privatizzando quelli che si possono cedere sul mercato senza troppi problemi, con simultanea riduzione del debito pubblico. Questo ultimo discorso vale in particolare per le ex imprese municipalizzate. Una parte di esse sono quotate in Borsa e quindi si prestano molto facilmente alla privatizzazione. Ma anche le altre possono essere cedute, salvo quando svolgono servizi essenziali. In tal caso, il Comune può ridurre la sua quota, in modo da assicurarsi una presenza nella società, cedendo ai privati, mediante gara, la parte maggiore. Il debito pubblico delle Regioni e degli enti locali è oramai molto elevato, essendo l’8% del Pil, al netto di quello della sanità, difficile da calcolare, date le complicazioni dei bilanci e la lunga lista dei debiti coi fornitori. Una parte notevole del debito degli enti locali, 32 miliardi secondo la Corte dei conti, è stata trasformata in onerosi «derivati». L’operazione di pulizia dei derivati andrebbe fatta mediante privatizzazioni di imprese pubbliche locali e cessioni di loro immobili. Il ministro Calderoli ha in progetto anche la cessione agli enti locali di beni del demanio statale, per la riduzione del loro debito.

Una idea molto buona, che potrebbe essere accompagnata dalla riduzione di trasferimenti in conto capitale a tali enti, in cambio di questi beni. Molti di questi patrimoni sono male utilizzati. E una cura dimagrante farà molto bene.

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