Provenzano, 007 a caccia dell’erede E in lista non ci sono soltanto i boss

Secondo gli investigatori un outsider tenta d’inserirsi nella lotta tra il palermitano Lo Piccolo e il trapanese Messina Denaro

Provenzano, 007 a caccia dell’erede E in lista non ci sono soltanto  i boss

Gian Marco Chiocci

nostro inviato a Palermo

È una corsa a due, salvo sorprese. Fra il palermitano Salvatore Lo Piccolo e il trapanese Matteo Messina Denaro è presto per dire chi colmerà il vuoto lasciato da Bernardo Provenzano. Presto perché le logiche interne a Cosa Nostra rivoluzionate proprio dal Padrino impongono una seria riflessione, convergenze d’interessi, strategie comuni. Il diritto di successione va riscosso non per grazia ricevuta ma per l’esempio dato e per le garanzie che il Predestinato è in grado di assicurare all’associazione. Dev’essere eletto col consenso di tutti, altrimenti saranno problemi. Perché se tra Denaro e Lo Piccolo non si dovesse trovare un accordo, se il Direttorio regionale non riuscisse a convergere su un nominativo secco, se la linea prevalente degli affari dovesse soccombere al ritorno del tritolo, il rischio di una guerra di mafia sarebbe la più naturale delle soluzioni.
La prima analisi dell’intelligence all’indomani dell’arresto del Padrino traccia un ampio ventaglio di ipotesi, ivi compresa quella della «soluzione intermedia» o di «transizione» da affidare a un personaggio di garanzia, magari uno della vecchia guardia gradito anche ai capi corleonesi ristretti in regime di 41 bis. Un erede insospettabile - osservano i Servizi - che potrebbe materializzarsi, perché no, anche dalla decrittazione dei pizzini sequestrati dalla polizia nel covo-masseria dove Provenzano si stava attrezzando per celebrare un conclave di mafia per cardinali fidati dei vari mandamenti.
Pescare dal mazzo un asso come Provenzano, capace di una strategia geniale tipo l’inabissamento di Cosa Nostra, in grado di garantire la continuità e coniugare interessi contrapposti di «famiglie» notoriamente rissose, non è cosa semplice. Per questo - annotano gli 007 - se il Grande Capo non ha pensato per tempo a un successore che abbia fra le sue qualità quella dell’equilibrio nel comando, potrebbero esserci grossi sconvolgimenti all’interno dell’organizzazione.
L’identikit dell’erede naturale del Padrino - continuano i servizi segreti - sembra calzare alla perfezione nella figura di Salvatore Lo Piccolo, 44enne boss del quartiere di San Lorenzo, latitante da un quarto di secolo, già erede di Saro Riccobono, con il figlio Sandro a capo di un impero economico e criminale sviluppatosi fino ai confini del trapanese. Dove invece detta legge Matteo Messina Denaro, 43 anni, irreperibile da sempre, figlio del vecchio boss di Castelvetrano, regista delle bombe del ’93 a Roma e Firenze, considerato l’erede naturale dei macellai corleonesi Riina e Bagarella. I rapporti fra i due rampolli di Cosa Nostra non sono dei peggiori, ma neanche dei migliori. Se Lo Piccolo è forte economicamente, Messina Denaro non ha rivali sotto il profilo militare. Due anime all’opposto, bianco e nero, moderato il primo, irruento il secondo. Entrambi hanno una connotazione locale, territoriale e questo potrebbe rappresentare un problema qualora dovesse incattivirsi a livello regionali la rissosità interna a Cosa Nostra. Mediando, dispensando consigli anziché ordini, facendo pesare poco la sua indiscussa autorità, solo Provenzano era capace di tenere a bada tutti. A cominciare da quei due cavalli di razza a cui dava illimitato spazio manovra cercando di coltivare le rispettive ambizioni. Ma solo il mediatore Lo Piccolo, se si dà retta ai pentiti e alle inchieste in corso, ha le carte in regola per provare a emulare il Padrino. Ad oggi - prosegue il rapporto d’intelligence - poche chance hanno i cosiddetti «emergenti», mafiosi in carriera dal discreto lignaggio e dalle rosee prospettive future. A cominciare da Mimmo Raccuglia, re del pizzo di Altofonte, passando per Motisi di Pagliarelli (feudo di Nino Rotolo ai domiciliari per motivi di salute) fino agli agrigentini nemici-giurati Giuseppe Falsone e Maurizio Di Gati di Racalmuto. E via via i tanti altri killer promossi boss disseminati nell’isola. Nell’analisi degli 007 si fanno una decina di nomi, tutti potenzialmente papabili, ma tutti con scarse speranze di successo.
Per capire da che parte soffierà il vento occorrerà attendere i primi segnali. Che non tarderanno ad arrivare, e che come si conviene in periodi di cambiamento radicale, saranno chiari. In un senso o nell’altro.

Nell’impasse - concludono i Servizi - l’interesse di Cosa Nostra è comunque quello di non provocare sconvolgimenti plateali continuando a far business nel solco della continuità. In caso contrario, c’è da aspettarsi un incremento dei morti e una redistribuzione degli affari. Meno pizzini, più lupara per tutti.
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

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