Il missile è sulla rampa, il conto alla rovescia è iniziato e alla Casa Bianca Barack Obama deve affrontare la più difficile crisi dei suoi primi cento giorni. Una crisi resa più complessa dall'imprevedibilità del dittatore Kim Jong-il e del suo regime.
I gerarchi comunisti nord coreani e l’invisibile «caro leader» l’hanno già fatto capire, per lanciare quel missile sono pronti a tutto. Se qualcuno tenterà di fermarli, riunendo il Consiglio di sicurezza dell’Onu o varando nuove sanzioni, bloccheranno lo smantellamento degli impianti nucleari e riprenderanno la produzione di testate al plutonio. «Oltre ad altre energiche misure, tutti i processi di denuclearizzazione della penisola coreano saranno riportati alla situazione iniziale», minaccia il ministero degli Esteri di Pyongyang ricordando che tra gli atti ostili rientra anche la convocazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu.
Barack Obama e il segretario di Stato Hillary Clinton devono, però, far i conti con l'ineludibilità della crisi. Il Taepodong-2 è sulla piattaforma di lancio e - stando alle immagini diffuse dai satelliti spia - le operazioni di rifornimento sono questione di ore. Se i tecnici nordcoreani rispetteranno i programmi e il missile non esploderà come nel 2006, il lancio avverrà tra il 4 e l’8 aprile.
Lasciar decollare quel vettore equivale, avverte la Clinton, a trasformare in carta straccia la risoluzione 1718 dell'Onu che vieta a Pyongyang la vendita e la sperimentazione di nuove armi. D'altra parte un'azione troppo decisa rischia di portare alla cancellazione degli accordi di denuclearizzazione del 2005 basati sul negoziato a sei tra le due Coree, gli Usa, la Russia, il Giappone e la Cina. Ma la nuova amministrazione non può permettersi il lusso di restare inerte dilapidando credibilità e capacità di deterrenza in un momento in cui la tensione nell'area è ai livelli di guardia.
Alla frontiera tra le due Coree l’allarme è senza precedenti e durante le ultime manovre congiunte tra Washington e Seul, Pyongyang non ha esitato a interrompere la linea «rossa» con il sud introdotta per scongiurare crisi fatali. E i rapporti con la Cina dopo i recenti incidenti navali appaiono in fase di progressivo deterioramento. Lo stesso Taepodong 2 non è per Washington questione da poco. Quel vettore, a dar retta agli esperti militari, non serve soltanto a mettere in orbita un satellite, ma può - se armato con una testata convenzionale o nucleare - colpire l'Alaska. E il mascheramento dell'ultimo stadio che impedisce di vederne il «carico» aumenta i dubbi.
L’aggressività nordcoreana agita, del resto, anche gli alleati di Washington nell'area. Il governo sudcoreano definisce l’imminente lancio «una sfida e una grave provocazione» ed è pronto a far salpare alla volta del mar del Giappone l’incrociatore speciale Sejong il Grande, dotato dei sistemi antimissili con tecnologia Aegis. La nave, varata a dicembre, affiancherebbe i quattro incrociatori di Usa e Giappone già presenti.
Seul non è l’unica a scalpitare. Il Giappone, poco rassegnato a sopportare la pioggia di detriti dei primi due stadi del Taepodong destinati a precipitare sul suo territorio, è pronto a ricorrere ai sistemi antimissile per colpire i resti del vettore. Washington dunque ha poco spazio di manovra, per non perdere la faccia deve muoversi in fretta e bloccare quel lancio. Il problema è come.
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