Qualche consiglio per rilanciare la maggioranza

Dopo il voto di sfiducia. questi sono forse i giorni più delicati per il go­verno. La maggioranza ha ritrovato l’autosufficienza. Ma il Pdl è attraver­s­ato da tensio­ni. Aprire fronti interni è un suicidio

Qualche consiglio per rilanciare la maggioranza

Dopo la grande pau­ra di metà dicem­bre, con il voto di sfiducia proposto da Fini alleato all’opposi­zione, questi sono forse i giorni più delicati per il go­verno. La maggioranza ha ritrovato l’autosufficienza e sta crescendo settimana dopo settimana. L’opposi­zione non dà segni di vita, avvitata nel solito antiberlu­sconismo affidato a giudi­ci, comici, cantanti e scritto­ri. La riforma che introdu­ce il federalismo ha fatto un importante passo in avan­ti, quella della giustizia è sta­ta incardinata. Non male per un governo dato per morto. Eppu­re c’è nell’aria qualche cosa di strano. Il Pdl è attraver­s­ato da tensio­ni, anche legit­time, ma avul­se dalla realtà e, soprattutto, incomprensi­bi­li agli eletto­ri. È come se non tutti i no­tabili del cen­t rodestra avessero chiaro il pericolo corso e le difficoltà che so­no all’orizzonte. Sarebbe il momento di serrare le file, recuperare il tempo perso e i colpi subiti. Aprire nuovi fronti interni sarebbe in questo momento suicida.

Tra poche settimane ci sarà un test elettorale fon­damentale per la gente. Si rinnovano infatti i sindaci di molte città, tra le quali Mi­lano, Napoli, Bologna e To­rino. Non solo il risultato avrà una valenza politica nazionale, ma è importan­te per milioni di italiani che vorrebbero essere governa­ti sul territorio da ammini­strazioni liberali e amiche. Come dimostra la storia del centrodestra, gli eletto­ri amano la chiarezza e de­testano intrighi e litigi. Qui sarebbe utile, direi indi­spensabile, non complica­r­e la vita ai candidati sinda­ci che già devono partire con l’handicap della cam­pagna di fango scatenata contro Silvio Berlusconi e il governo nazionale.

Mi riferisco, per esem­pio, al malumore di Clau­dio Scajola, il ministro che si è dimesso per la nota vi­cenda della casa vista Co­losseo. Scajola vuole rien­trare. Non solo è un’aspira­zione legittima, ma essen­do uomo solido e prepara­to, il suo recupero (visto che nessun reato è stato commesso) sarebbe an­che auspicabile. La sua ven­tilata minaccia di uscire dal Pdl e formare, con i suoi fe­delissimi, un gruppo a par­te lascia invece perplessi. Attenzione, Scajola non è un nuovo caso Fini. Lui non ci pensa neppure a fa­re fuori il capo o ad allearsi con la sini­stra. No, lui è uomo leale e di partito. Cer­ca soltanto lo spazio che gli compete, ma così facendo mette a ri­schio un be­ne superiore, che è la tenu­ta formale e sostanziale della maggio­ranza.

Così come Tremonti pri­ma o poi, meglio prima, do­vrà farsi carico anche dei problemi politici (traduco: della gente) oltre che di quelli contabili. Se è mini­stro lo deve a una coalizio­ne che lo ha investito di una grande responsabilità: fare tornare i conti sì, ma dentro un progetto sottopo­sto al giudizio degli elettori che lo hanno approvato. Di­re sempre e soltanto «no» (agli operatori culturali e ai poliziotti, per fare due esempi) porterà prestigio personale presso gli euro­burocrati ma non aiuta il Paese né il governo al quale si appartiene.

Sarebbe una beffa consegnare a Bersani e soci la gestione, e quindi i vantaggi, di un’ammini­strazi­one oculata e respon­sabile in anni di crisi. Qual­che euro in più e qualche poltrona in meno per gli ex Forza Italia (i salvataggi hanno un prezzo) garanti­ranno lunga vita al gover­no, a Scajola, a Tremonti e a tutti noi.

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