Quando Borges cantava canzoni scurrili

È noto che Borges era capace delle più feroci battute con cui si divertiva ad irridere persone e a confondere verità scontate. Già cieco, quando gli presentarono il poeta Manuel, fratello del grande Antonio Machado, esclamò meravigliato: «Non sapevo che Manuel avesse un fratello!». In un prologo, scritto per un libro di poesie di Rafael Alberti, egli riesce a non citare il nome del poeta spagnolo, a lui inviso. Dalla mia esperienza personale ricordo un colloquio con Borges a cui chiesi un giudizio su Pablo Neruda; la risposta fu evasiva ma chiaramente rivelatrice del suo pensiero: «Pablito m’invitò varie volte a visitare la sua casa di Isla Negra sulla costa del Pacifico, ma ho sempre rifiutato: a me non piace il mare, figuriamoci l’oceano!».
Questo il Borges che si offriva al pubblico e ai critici che l’assediavano con domande provocatorie ed impertinenti. Ma viene da chiedersi: come era l’uomo in privato, quali erano i suoi gusti, le letture, la musica che prediligeva, il cinema che amava, i luoghi cari della sua amata Buenos Aires? Ci viene in soccorso una serie di evocazioni a tutto tondo del nipote Miguel de Torre Borges, figlio della sorella Norah, nota pittrice, e dello scrittore d’avanguardia Guillermo de Torre, apparse su alcune riviste spagnole e ora, in occasione dell’uscita della versione italiana del libro di Guillermo de Torre Eliche (a cura di Daniele Corsi, Bibliotheca Aretina), presenti in parte nell’appendice del volume. Borges e de Torre, entrambi residenti nel dopoguerra a Buenos Aires, mal si sopportavano, soprattutto a causa della scarsa considerazione che il poeta mostrava nei confronti del cognato. A chi gli chiedeva com’era il suo rapporto con Guillermo, diventato completamente sordo con gli anni, Borges rispondeva divertito: «Buonissimo. Quando passeggiamo insieme, io non lo vedo e lui non mi sente».
I ritratti del nipote offrono un’immagine affettuosa e divertente, come la conserva la memoria commossa del bambino, che ricorda lo zio (l’unico zio della ridotta famiglia Borges) mentre lo porta sulle spalle cantando e ballando i passi di una popolarissima milonga. Oppure gli racconta l’episodio dell’esploratore che sposa in Africa un gorilla; le sorelle in Inghilterra, rispettose delle convenzioni, vogliono solo sapere se si tratta di un gorilla femmina o maschio: «Is it a he-gorilla or a she-gorilla?». Forse per compiacere il giovane nipote, Borges cede a volte al gusto per la volgarità: così Tagore diventa Cagore e il titolo della rivista Gente è il grido di chi «è seduto sul W.C. mentre qualcuno apre la porta». Geniale nelle risposte, capaci di associare concetti inconciliabili, instillare dubbi, creare umorismo, il poeta appare all’esterno, secondo quanto scrive il nipote, una persona normale, insignificante. Quando gli chiedono in un hotel il suo nome e l’interlocutore osserva che esiste uno scrittore chiamato Borges, lui risponde laconicamente: «Credo di sì. Ma non ne sono molto sicuro».
Miguel de Torre ricorda lo zio con il Diccionario manual e ilustrado dell’Accademia e solo una volta mentre legge il grosso volume dell’Encyclopaedia Britannica, di cui sempre parla Borges. Insieme all’interesse per il libro e la biblioteca, al poeta piaceva camminare per le vecchie strade di Buenos Aires: compiere lunghe passeggiate per le vie del vecchio e popolare quartiere Sur fino ad arrivare, fra giri e rigiri, all’Escuela Coronel Suárez per mostrare con orgoglio al ragazzo il busto del trisavolo. Ascoltava e canticchiava le canzoni del folclore popolare, anche quelle dal testo scurrile e triviale. Come questa: «Don Carlos de Tejedor,/con una paciencia loca/le rompió el culo... e a Roca»; a cui il giovane rispondeva con i versi: «A vos te rompo el culo/y a tu hermana la cajeta».
Dal folclore al tango il passo è breve: Borges - è noto - ha molto amato la letteratura del tango, su cui scrisse pagine straordinarie, ma si trattava delle primitive e autentiche espressioni musicali che, riferisce il nipote, «ascoltava come in estasi, chiudendo gli occhi e accompagnando gli accordi con il movimento del corpo e dei piedi». È da sfatare comunque il luogo comune che non gli piacesse il grande cantante Gardel: semplicemente rifiutava il suo divismo, il suo aspetto fisico (somigliante a Perón), odiava la banalità dei testi delle sue canzoni; insomma non sopportava il sentimentalismo sdolcinato dell’inconsolabile tango-canzone. Altra passione di Borges fu il cinema e, attraverso Miguel, possiamo conoscere il nutrito elenco dei film visti dallo zio. Se una pellicola gli piaceva, tornava a vederla numerose volte, facendosi sempre accompagnare da persone diverse; in questo modo poteva esprimere le proprie opinioni e ricevere nuove impressioni, che poi comunicava alla successiva spettatrice, poiché erano sempre donne quelle che portava con sé.
Nell’immagine conservata dal nipote non manca il richiamo alla memoria prodigiosa dello zio Jorge, sovente esibita con citazioni inventate per confondere il ragazzo; ma chi ha avuto modo di avvicinare il maestro non può che confermare la leggendaria forza della sua mente. A distanza di anni, rivedo ancora il suo viso accendersi d’improvviso quando lo informo che insegno all’Università di Bergamo e che sarei onorato di poterlo invitare nella sede dell’Ateneo in Città Alta. Eravamo in un ristorante milanese, il poeta si alzò in piedi, chiamò Maria Kodama, allora sua segretaria, e disse: «Quanto mi piacerebbe vedere Bergamo, la patria del Tasso!». Poi cominciò a recitare le prime ottave della Gerusalemme liberata: i camerieri si fermarono, i commensali smisero di parlare.

Subentrò un silenzio sospeso, solo interrotto dalla voce lenta e mielata di Borges, il quale continuava a declamare e a guardare davanti. Davanti c’era Torquato Tasso, con i suoi eroi, i capitani e i nobili cavalieri cristiani che ascoltavano in silenzio.

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