Quante prime volte per il pastore con odore di pecore. La sua rivoluzione ha messo al centro tutte le periferie

L'infanzia in Argentina, la vocazione a quasi 17 anni e le resistenze dei genitori. Le dimissioni da arcivescovo appena prima dell'elezione a 76 anni. La crociata contro sfarzo e privilegi del Vaticano e la "necessità" di stare in mezzo...

Quante prime volte per il pastore con odore di pecore. La sua rivoluzione ha messo al centro tutte le periferie

Si era presentato al mondo spiazzando la folla, con un semplice «buonasera», un saluto semplice e genuino che avrebbe cambiato per sempre la Chiesa e l'immagine del Papa. Nessuno, in quel piovoso pomeriggio del 13 marzo 2013, si sarebbe mai aspettato che quel «pastore con l'odore delle pecore» arrivato da Buenos Aires con la speranza di far rientro subito a casa in Argentina per le celebrazioni pasquali, avrebbe invece stravolto ogni schema all'interno di una Curia Romana e di un mondo ancora scossi dalle dimissioni di Benedetto XVI. La scomparsa del Pontefice chiude per sempre un momento inedito nella storia millenaria dei pontificati: se ne va il «Papa delle prime volte», il primo gesuita, il primo sudamericano, il primo ad aver scelto un nome dedicato al santo di Assisi, San Francesco, santo dei poveri, ma anche della pace.

Jorge Mario Bergoglio era nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, da Mario, contabile, e Regina Maria Sivori, casalinga, emigrati dall'Italia insieme ai loro genitori alla fine degli anni Venti del secolo scorso. Primo di cinque fratelli: aveva condiviso l'infanzia e la giovinezza in casa con Oscar Adrián, Marta, Alberto Horacio e Maria Elena, l'ultima di casa ancora in vita.

Dopo la vocazione esplosa a quasi diciassette anni in un giorno di primavera del 1953, l'ingresso in seminario, nonostante la contrarietà della mamma e le resistenze del papà. L'ordinazione sacerdotale arrivò nel 1969 e da lì cominciò un cammino di studi teologici, missioni sul campo e insegnamento, che lo avrebbe portato fino ai vertici dei gesuiti del suo Paese, diventando il superiore per l'Argentina negli anni Settanta, durante il periodo della dittatura del generale Videla. Nel 1992 fu nominato da Giovanni Paolo II vescovo ausiliare di Buenos Aires e per lui fu un nuovo inizio, dopo un periodo oscuro, «di esilio», senza alcun incarico di responsabilità a Cordoba. Sempre il Papa polacco lo nominò prima arcivescovo (nel 1998) e poi lo creò cardinale (nel 2001). Nel 2013 aveva già presentato le dimissioni dalla guida dell'arcidiocesi di Buenos Aires, quando a 76 anni fu eletto Papa, il 266° successore di Pietro. E da quel momento la sua vita fu letteralmente sconvolta.

Iniziò da qui la «rivoluzione di Francesco»: dal rifiuto dei paramenti pomposi, alle telefonate agli amici, dalle uscite improvvise per andare dall'ottico o in qualche negozio di dischi, fino alla scelta di vivere a Santa Marta, il residence all'interno del Vaticano. «Se fossi andato a vivere al Palazzo Apostolico avrei avuto bisogno di uno psichiatra», era stato il suo commento, «per stare bene ho necessità di stare in mezzo alla gente, lì sarei stato un po' troppo isolato dal mondo esterno».

Nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il manifesto programmatico del suo Pontificato, Bergoglio invocò una «Chiesa povera per i poveri», la necessità di «evangelizzare con zelo apostolico», uscire dall'autoreferenzialità e andare verso le periferie geografiche ed esistenziali, lavorare a una riforma della Curia e a una conversione del Papato, sconfiggere la mondanità spirituale e dare più spazio a donne e laici. E ancora la necessità di avere una voce profetica per la pace, uno dei motivi per cui scelse il nome di Francesco. Una rivoluzione della tenerezza, insomma, per una Chiesa sempre dalle porte aperte. Ma il suo Pontificato è finito spesso nel mirino di chi ha accusato Bergoglio di essere un eretico, di chi ha criticato le sue aperture (si pensi alle benedizioni per le coppie omosessuali o alla comunione per i divorziati-risposati) e chi lo ha addirittura considerato un Papa illegittimo. Inutile negarlo: negli anni in tanti avevano tramato contro di lui, qualcuno, fino all'ultimo, aveva utilizzato il tema delle dimissioni per fare pressioni sul Pontefice, nella speranza di un passo indietro. Ne aveva anche parlato pubblicamente, rompendo l'ennesimo tabù, quello della rinuncia, fino a Benedetto XVI un tema considerato scottante. Dopotutto, lo aveva detto in diverse occasioni: «Il Vaticano è fatto così, io ci devo vivere, questa è l'ultima monarchia assoluta d'Europa, spesso travolta da privilegi e chiacchiericci di corte». Mai nessun Papa si era spinto a parlare pubblicamente in questi termini del Vaticano, una totale rottura col passato, così come la scelta di visitare, nei viaggi apostolici, principalmente i Paesi «più piccoli», per «cercare di non cadere io stesso nella globalizzazione dell'indifferenza». Stesso criterio utilizzato per la scelta dei nuovi cardinali: uomini principalmente provenienti da Paesi considerati marginali a scapito di grandi diocesi del mondo, storicamente sedi cardinalizie, come Milano, Parigi o Sidney. In tanti piangono oggi il Papa che ha messo i poveri al centro del suo Pontificato, «sono loro la bandiera del Vangelo», ripeteva in continuazione, «non è comunismo, non è marxismo, questa è la Chiesa, una madre che deve accogliere, che deve consolare, che ama tutti i suoi figli, tutti, senza distinzioni e soprattutto senza giudicare». Parole che sono rimaste scolpite nel cuore di chi ha visto in Francesco il pastore umile dal cuore grande ma sempre bisognoso di preghiere.

«Non dimenticatevi di pregare per me», ripeteva sempre ai fedeli. Lo ha chiesto fino all'ultimo, consapevole che «il Paradiso non è un luogo da favola, ma l'abbraccio con Dio». E se anche nell'ora della morte «non ci fosse più nessuno che si ricorda di noi, Gesù è lì, accanto a noi».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica