Quei fazzoletti di deserto dove centinaia di milizie si contendono il potere

Una moltitudine di sigle e arsenali contrappone di fatto due schieramenti: il governo islamista di Tripoli e quello di Tobruk, unico legittimato all'estero Vai al reportage dalla Libia

Un tempo era la città degli affari, il porto dei commerci. Oggi è la città della guerra, la Sparta della Libia. Misurata lo sa e ci tiene. Le sue medaglie sono le facciate annerite dai colpi di mortaio, i palazzi sventrati dalle bombe, i relitti di carri armati parcheggiati ai lati della strada. Tutto come quattro anni fa. Tutto come se la «rivoluzione» non fosse mai finita. La fama di città guerriera se l'è guadagnata tenendo testa a Gheddafi, catturandolo e uccidendolo. Ma la guerra le ha divorato l'anima. E non solo la sua. Perché se Misurata è la capitale delle milizie, la Libia è la piazza d'armi su cui queste si combattono. Tutto risale al novembre 2011 quando - finita la rivoluzione - Misurata impone ai capibanda che ne sono stati protagonisti d'iscriversi nei registri del Consiglio militare. La conta rivela l'esistenza, solo a Misurata, di una galassia di 236 organizzazioni armate, in cui gravitano gruppi con solo qualche decina di miliziani e reggimenti forti di più di 1500 uomini.

Misurata e i suoi 400mila abitanti sono solo la punta d'iceberg d'una Libia dove gli enormi arsenali di Gheddafi hanno trasformato anche gli ultimi rivoluzionari di periferia in alteri signori della guerra, convinti di poter decidere i destini del Paese. E così la Libia fa i conti con i rancori personali, le rivalità ideologiche e le ambizioni di decine di gruppuscoli al servizio di chiunque prometta denari e potere. L'apogeo del caos, culminato nella divisione del Paese, arriva dopo il voto per il rinnovo del Parlamento dello scorso giugno. Il voto seppur caratterizzato da bassa partecipazione (18 per cento) segna la vittoria delle forze laiche che conquistano la maggioranza del Parlamento, lasciando agli esponenti islamisti, legati ai Fratelli musulmani e appoggiati da Turchia e Qatar, solo 30 seggi su 200. I capi della Fratellanza musulmana non ci stanno e convincono Misurata a formare una coalizione con i gruppi jihadisti, battezzata Fajr Libya, per conquistare la capitale. Dietro al sì di Misurata c'è la rivalità con Zintan. Abitata da 40mila anime e poco più grande di un villaggio la città di Zintan, arroccata sulle montagne di Nafusa, 140 chilometri a sud ovest di Tripoli, deve pure lei fama e potenza all'aggressività dei propri pretoriani entrati tra i primi a Tripoli nel 2011. Arricchitasi grazie alle razzie di quei giorni, diventata politicamente influente grazie alla cattura del figlio di Gheddafi Saif Al Islam, Zintan è la sola custode dell'aeroporto di Tripoli e la peggior nemica dei Fratelli musulmani. Proprio la paura di Zintan spinge i gruppi islamisti a garantirsi il sostegno dei 15mila combattenti di Misurata, forti di centinaia di carri armati e 2000 fuoristrada armati di mitragliatrici da 12,7 e 14,5 millimetri. Dentro Fajr Libya si muovono però anche il Lror (Sala operativa dei rivoluzionari), una milizia agli ordini di Nouri Abusahmain, il presidente del primo Parlamento molto vicino ai Fratelli di musulmani e gli armati islamisti di Scudo libico. A questo nucleo s'aggiungono le milizie berbere di Zuwara, mosse pure loro dall'odio per Zintan. E quelle di Zwaiya coinvolte nella guerra civile, ma più interessate a trovare alleati negli scontri con le tribù filo gheddafiane dei warshefana. L'epilogo dello spietato scontro è la spartizione della Libia.

Quando - a fine agosto - le milizie di Zintan lasciano Tripoli, il neoeletto Parlamento e il governo del premier Abdullah al Thinni fuggono a Tobruk. Mentre Alba Libia dà vita a un esecutivo d'ispirazione islamista, la diplomazia internazionale riconosce la legittimità di Tobruk. Ma la guerra tra milizie non si ferma. A Bengasi, culla della rivoluzione, si contrappongono da metà 2014, le armate del generale Khalifa Haftar, capo militare del governo di Tobruk, e Ansar Al Sharia, il gruppo terrorista responsabile, nel settembre 2012, dell'uccisione dell'ambasciatore americano in Libia. Le milizie di Misurata - a cui Alba Libia affida il controllo della capitale - combattono le forze di Haftar a sud della capitale e cercano di stringere d'assedio la città di Zintan. Alcune loro unità però combattono anche nelle zone dei terminal petroliferi di Jdabya e Ras Lanuf, occupati sino da metà 2013 dai cosiddetti «federalisti» della Cirenaica. Nel profondo sud intorno ai pozzi petroliferi di Obwari infuria, invece, la guerra tra le tribù tuareg schierate con Tripoli e quelle Tebu alleate di Tobruk. Ma le milizie nere dei Tebu combattono anche a Kufra, nel triangolo sud orientale della Libia trasformato in un altro sanguinoso fronte della guerra tra Tobruk e Tripoli. Così, mentre il Paese si consuma in una guerra fratricida, nessuno muove un dito per fermare lo Stato islamico che, dopo aver conquistato Derna e Sirte, si prepara a trasformare la Libia nel proprio santuario.

Gian Micalessin

GLI OCCHI DELLA GUERRA

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