Quei romanzi che suonano l'anima rock della letteratura

Le band di culto si sono spesso ispirate ai libri di grandi scrittori

Quei romanzi che suonano l'anima rock della letteratura

È una notte del febbraio 1984, a New York. Il locale è The Limelight, tra la Sesta Avenue e la 20th Street, una chiesa sconsacrata dai primi anni '70, già centro di recupero per tossici, rimessa a nuovo come uno dei club più hipster nel decennio più straordinario alla fine del XX secolo. Si festeggia il settantesimo compleanno di William Burroughs, non lo scrittore più famoso d'America, ma certo il più influente, se si parla di controcultura e sperimentalismo, padre putativo della Beat Generation, autore de Il pasto nudo e La macchina morbida, inventore del metodo cut-up, desunto a sua volta dall'avanguardia dadaista, a indicare un percorso linguistico che si è esteso, come un virus, nelle ricerche letterarie e musicali. Alla festa ci sono Frank Zappa, Madonna in stato di grazia e prossima alla pubblicazione di Like a Virgin, Lou Reed e un giovane bassista inglese, Sting, che Burroughs, re degli sballati, non conosce (i Police in effetti sono una novità) e la sua faccia per bene persino lo insospettisce.

Comincia da questo episodio Rock Lit, lo studio che Liborio Conca ha dedicato a intrecci e relazioni tra musica e letteratura, appena uscito per la casa editrice Jimenez (pagg. 208, euro 16). L'autore, giornalista appassionato e competente di entrambi i mondi, ha cercato connessioni tra le più impreviste e meno scontate, evitando il semplice meccanismo di citazioni e rimandi. Piuttosto, ha scovato i nutrimenti reciproci che a lungo si sono intrecciati in una nostalgica età dell'oro. Nell'analisi di Conca il rock ha matrici alte e, a sua volta, la letteratura scende dai gradini più alti del podio culturale per sporcarsi con il fenomeno giovanile per eccellenza. In fondo, chiunque abbia preso in mano una chitarra o abbia scritto una canzone sarà stato prima di tutto un lettore. E non tutti i libri sono uguali.

Torniamo al Limelight. C'è anche Jim Carroll, amico di Burroughs e di Patti Smith, che nel '78 pubblicò The Basketball Diaries (uscito anni dopo in Italia con il titolo Jim entra nel campo di basket), fondatore di una band che porta il suo nome, personaggio di culto almeno fino al '95, quando il suo libro e la sua storia diventano il film Ritorno dal nulla con un giovanissimo Leonardo DiCaprio. Una storia burroughsiana che viene dai bassifondi. Ma non c'è solo questo. Uno dei gruppi più sofisticati del rock americano, i REM nativi di Athens, Georgia, arrivano a conoscere il Prete (questo il soprannome dello scrittore) attraverso il folle critico Lester Bangs: «il metodo del cut-up - ha raccontato il leader Michael Stipe - ha influenzato tantissimo la direzione presa dal mio lavoro, mi ha permesso di guardare oltre l'ordinario lasciando spazio al pensiero inconscio». Burroughs muore nel '97, a 83 anni, vecchio nonostante la corsa all'autodistruzione che ha invece ucciso l'ultima grande star del r'n'r, quel Kurt Cobain che prima di spararsi aveva ascoltato Automatic For The People dei REM, «un album sulla morte», dopo essersi preso una cotta letteraria per Burroughs, di cui teneva almeno un libro sul comodino.

Rock Lit è un mondo freddo, gelido, afflitto da necrologi. Colpisce al cuore quando racconta la triste fine di Mark Linkous, voce e anima degli Sparklehorse (Vivadixiesubmarinetransmissionplot è disco chiave negli anni '90), e quella di Vic Chesnutt, cantautore considerato tra i dieci più influenti di sempre, cresciuto a Cohen (c'è un intero capitolo sul canadese) e Dylan. Musiche e testi che corrono nel paesaggio del Southern Gothic e richiamano l'immaginario narrativo di giganti come William Faulkner e Flannery O'Connor, dal Mississippi alla Georgia fino al Tennessee di Cormac McCarthy sullo sfondo di una natura minacciosa e libera in cui abitano personaggi grotteschi, lontani dalle suggestioni metropolitane.

Non solo America: c'è l'Inghilterra di The Smiths, capitanati da quel Morrissey figlio di una bibliotecaria, studente di letteratura inglese, immerso nell'universo di Oscar Wilde e che intorno al 2000 si trasferisce per un po' a Roma sulle tracce di Pier Paolo Pasolini. C'è Kate Bush che intitola il suo maggior successo Wuthering Heights come il romanzo di Emily Brontë. C'è Robert Smith che rivisita Kafka e Camus, eroi dell'assurdo: il primo singolo dei Cure, Killing an Arab, è la personale versione de Lo straniero. Ci sono gli appunti di Ian Curtis, leader dei Joy Division, scritti a mano sui romanzi di Dostoevskij. C'è il futuro distopico della scrittura di George Orwell che si affaccia in diversi testi dei migliori Radiohead. OK Computer, uno dei tanti capolavori della band di Thom Yorke, si ispira a un altro romanzo di fantascienza, Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams, in particolare al passaggio in cui «il computer di un'astronave non riesce a neutralizzare i missili che gli vengono scagliati addosso, e allora Zaphod Beeblebrox, il presidente della Galassia, dice - OK, computer, assumo il controllo manuale».

«Quando ci imbattiamo in un'opera destinata a cambiare la

percezione che abbiamo delle cose, è in quel preciso momento che l'arte assurge alla sfera più alta della propria essenza», precisa Liborio Conca. Non lo conosco personalmente, se lo incontrassi, gli domanderei: «e ora?».

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