Quel ricatto ai valori dell’Occidente

Molte reazioni occidentali all’ondata di fanatismo divampata tra le folle islamiche per le vignette «blasfeme» d’un quotidiano danese sono ispirate alla contrizione. La libertà di stampa e di pensiero va salvaguardata - questo è il ritornello - ma un giornalismo responsabile dovrebbe astenersi dall’offendere il sentimento religioso. Più o meno in questi termini - e all’insegna del politicamente e del religiosamente corretto - si è espresso anche il portavoce della Santa Sede Navarro Valls. Che ha invocato un clima «di mutuo rispetto» per la convivenza umana.
Nulla da eccepire sulle saggezza di questi appelli alla ragione e alla tolleranza: ma alla condizione che essi non si risolvano - e il rischio esiste - in una sorta di «pensiero unico» cui tutti, qui in Occidente, dovremmo attenerci «per non favorire chi cerca lo scontro» (parola di Franco Frattini). Il punto centrale della questione è a mio avviso molto semplice. Se l’area della libertà abdica, nel nome dei buoni rapporti con l’Islam (ma il discorso può valere per altre circostanze) alla difesa dei suoi valori, diventa essa sì politicamente scorretta, e in misura pericolosa. È bene cercar di capire le motivazioni e le pulsioni di Paesi e di popoli dove l’intreccio tra religione e politica è indissolubile. Ma è necessario tener ben fermi alcuni punti fondamentali: a cominciare dalla liceità, per chiunque, d'esprimere ogni idea e opinione quando non contravvenga le leggi (le nostre leggi democratiche).
Il che non significa, beninteso, che le idee e opinioni espresse abbiano sempre la nostra approvazione. Per niente. Convengo con Pierluigi Battista che la raffigurazione dei musulmani - nelle vignette poste sotto accusa - era sprezzante se non demonizzante, e ricordava certa odiosa propaganda antisemita. Le ritengo, quelle vignette, di pessimo gusto. Ma non era per niente delicata molta satira italiana di ieri (con i «forchettoni» democristiani e con i «trinariciuti» comunisti) e fu aggressiva fino all’iperbole, l’altro ieri, la satira anticlericale e antimonarchica de L’Asino. A volte il buon senso e il buon gusto facevano a pugni con la polemica «disegnata». Nulla era più lontano dal politicamente e religiosamente corretto. Ma aveva diritto di pubblicazione.
Lo so che è dura dover sopportare, proprio per coerenza democratica, le esternazioni dei no global e dei vari «disobbedienti», del resto prontamente invitati, dopo una qualsiasi sparata demenziale, al talk show di turno. E allora? Queste sono insieme le luci e le ombre del contesto politico, morale, sociale, culturale in cui ci piace di vivere. La violenta rivolta islamica deriva dalla totale incapacità di comprendere la nostra logica. La nota del Vaticano lo ha per fortuna sottolineato: «Le offese arrecate da una singola persona o da un organo di stampa non possono essere imputate alle istituzioni pubbliche del relativo Paese».
Qui sta il grande equivoco. Nelle teste delle dirigenze islamiche e delle masse islamiche è ben ferma la convinzione che lo Stato sia per sua natura autoritario, e che quanto vi viene pubblicato non sia addebitabile a un determinato organo di informazione, ma debba risalire al governo: senza il cui placet non esce una riga, e perciò le autorità di Copenaghen sono chiamate a rispondere di ciò che è venuto in testa a un oscuro e magari non troppo felice vignettista. Dobbiamo ripetere senza mai stancarci che il nostro orgoglio consiste nel lasciar diffondere anche idee che non condividiamo, e nel tollerare attacchi che disapproviamo. Guai se cediamo su questo.

Guai se ammettiamo che in fin dei conti gli ingenui credenti in Maometto hanno una qualche ragione incendiando - anche i bambini, addestrati all’odio - la bandiera danese. Questa, lo scrivo a costo d’essere molto scorretto politicamente, è barbarie dettata dal fanatismo e dall’ignoranza.

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