Quelli che la bandiera Usa la bruciavano nei cortei

C’era una volta l’Amerika. Adesso c’è l’Eden. Miracolo di una notte di mezzo autunno: avete presente il Paese brutto sporco e cattivo, quello che bombardava i bambini e rubava nelle banche, quello con gli stivaloni da cowboy e fior di intelligenza bovara, quello un po’ devoto e perciò retrivo, di più: praticamente troglodita, con la pistola facile e l’aborto difficile, quel Paese lì insomma, di guerrafondai beghini, torturatori e ultimamente anche un po’ bancarottieri? Ebbene: ha fatto puff. Non c’è più, è svanito, si è dissolto fra gli urletti di giubilo e i festeggiamenti della notte nera. Ha vinto Obama: l’impero del male è già diventato l’impero del miele.
Non sentite questo vago sapore dolciastro? Sfogliate i giornali, accendete la Tv, aprite i siti Internet. Vi verrà addosso un’ondata di melassa stelle e strisce, una cascata di nutella&hot dog, un concitismo degregorio radical yankee con una tale quantità di zuccheri che, se soffrite di diabete, conviene che vi chiudiate in isolamento per qualche giorno. Con i tappi nelle orecchie. Dov’è finito quel Paese di malandrini e truffatori, bombardieri e massacratori? Dov’è finita la centrale mondiale del capitalismo malato, la levatrice degli hedge fund, la diabolica fucina di disuguaglianze sociali? Tutto seppellito sotto il nuovo regno del sogno, il ritrovato santuario della democrazia, il vicino west dove ogni desiderio si può realizzare. Sono bastate poche ore: fino a ieri sera vedevano solo l’orrore, ora vedono solo la speranza. Che cosa ci volete fare? Cristoforo Colombo sarebbe fiero di loro: hanno scoperto l’America. E senza nemmeno bisogno della Nina e della Santa Maria. Al massimo, della Pinta.
«L’America cambia pelle», titola il sito internet di Repubblica, con un gioco di parole che al tutt’al più potrebbe funzionare per Michael Jackson. L’Unità si commuove con una copertina strappalacrime: nelle prime pagine viene usata la parola «sogno» più che su un lettino di Freud. Che è successo? «L’America estingue il suo peccato originale», ci spiega Liberazione. Ecco, dev’essere questo: il passaggio nel lavacro obamiano ha effetti miracolistici: Wall Street, dimenticati gli squali, diventa nelle pagine di Repubblica, luogo di purezza angelica, ad Atlanta si concentrano i buoni sentimenti, per non dire di Chicago dove persino l’inverno «non si presenta» (nonostante fossero pronte ampie dosi di cioccolata calda), perché si sa, con Barack, anche il freddo è un po’ meno freddo. I mutui subprime? Dimenticati. Le ingiustizie? Pure. La violenza? Sparita. E dappertutto, da Harlem al Texas, «le violenze razziali contano sempre meno». A questo punto ci resta solo un dubbio: quando si accorgeranno che i grattacieli di Manhattan sono di marzapane e nel Mississippi scorre latte e miele?
Nelle ultime ore abbiamo visto di tutto. Veltroni che esulta per la vittoria di Obama come se fosse sua, D’Alema che individua nel risultato americano la crisi di Berlusconi e schiere di democratici che non riuscendo a prendere voti in Italia si consolano con quelli dell’Ohio e della Pennsylvania. L’importante è accontentarsi. Ieri sera grande festa democratica: a Washington? No, a Roma. Evviva. Saltimbocca alla Biden, cacio, pepe e Indiana, Wisconsin all’amatriciana. Scene di ordinario provincialismo. Niente di cui preoccuparsi. Finché non vedremo una delegazione del Pd salire sul Colle a chiedere elezioni anticipate in Italia causa vittoria di Obama in America, stiamo tranquilli. Anzi, c’è da essere felici che finalmente la sinistra, dopo tante sofferenze, trovi qualcosa per cui rallegrarsi.
Quello che è inaccettabile, però, è che ora si trasformino in paladini degli Stati Uniti i medesimi che fino a ieri gli Stati Uniti li prendevano nella migliore delle ipotesi a pesci in faccia. Gli Stati Uniti sono sempre gli stessi. Non cambiano in una notte. Hanno mille problemi, mille difetti, mille storture e ingiustizie: ma sono la garanzia delle libertà e della democrazia nel mondo, sono quelli che ci hanno liberato dalle dittature e ci hanno assicurato felicità e Harley Davidson, Coca Cola e telefilm, prosperità e Beverly Hills. Si possono e si devono criticare, naturalmente. Ma non si possono trasformare in una notte da impero del male a paese del sogno. Ed è insopportabile che nelle ultime ore tutti quelli che per anni hanno demonizzato l’America addirittura salgano sul pulpito e vengano a darci lezione di americanismo.

Persino Franco Giordano di Rifondazione Comunista dice che si è emozionato per l’elezione di quello che considera «il suo presidente». Ne siamo felici. Ma chissà se gli hanno detto che il «suo presidente» giurerà su una bandiera stelle e strisce. E chissà se ricorderà i cortei in cui quella bandiera veniva bruciata.

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