Quelli che cercano il terzo Polo e trovano soltanto fallimenti

Roma - Tutti lo evocano, tutti lo temono, nessuno però sa bene dove sia, che confini abbia, quanto pesi. È la materia oscura della politica italiana. Per il terzo Polo, eterno miraggio, non è ancora arrivato l’Amudsen o l’Umberto Nobile del caso. Eppure torna ciclicamente a fare capolino, si affaccia, se ne prevede l’arrivo, che puntualmente slitta a data da destinarsi. La forza del terzismo è che, non essendo niente di preciso, può vestirsi di ogni foggia, anche le più diverse. Terzista è Fini, cofondatore del primo Polo, terzista è Luca Cordero di Montezemolo, manager confindustriale, terzista è Paolo Mieli, direttore di giornali, terzista è Casini, giovane-vecchio democristiano, terzista è Rutelli, già frequentatore di tutti i poli dall’estremismo laico al contegno religioso, terzisti autonomisti sono quelli di Lombardo, terzista è diventato persino Clemente Mastella, fondatore dell’Udeur, e anche Magdi Allam, quando si è presentato a sorpresa in Basilicata come candidato cristiano-lucano alla presidenza della Regione, lo ha fatto celebrando l’ennesimo rito terzopolista. Mondi lontanissimi, uniti solo da quella magica consonanza che sembra promettere chissà che. In realtà, alla prova dei fatti, il terzismo scade quasi sempre nel fighettismo di maniera, troppo puri per stare di qui o di là, perché noi si ha a cuore la nazione non le poltrone. Peccato che poi, dentro il calderone terzista, ci si ritrovino personaggi a cui una poltrona non è mai mancata nella lunga carriera, quando peraltro le poltrone le distribuivano gli aborriti polo 1 e polo 2, di cui in fondo non sono che figli ingenerosi. Il programma terzista è un sapiente rimescolamento di banalità istitutionally correct, di poderosi impegni civili, di doppi petti carichi di senso dello Stato. Belle parole che si reggono sull’affettazione di un senso di fastidio, quasi disprezzo, per le bassezze della politica reale. Così il destino fatale del terzismo è di confinare pericolosamente con un altro ismo, meno presentabile in società e nelle cene di gala: l’opportunismo. Lo disse un improbabile difensore del Cavaliere dagli assalti dei terzi e quarti poli, Eugenio Scalfari: «Bisogna dichiarare dove si sta, ecco perché io non riconosco non dico dignità, né ruolo, né funzione al terzismo», disse il «Fondatore» a Paolo Mieli, portavoce del terzopolismo italiano. Che infatti replicò rivendicandone le ragioni: «Il terzismo è una cura mentale, un modo di dichiararsi esplicitamente, ma anche di cercare di essere attenti alle ragioni di chi ti sta di fronte e ai torti della tua parte». Quella ambiguità che si può vedere anche in modo meno positivo, come ha fatto una volta Giuliano Amato, sintetizzando l’epico dalla terzietà in poche righe poco epiche: «I terzisti non possono criticare una posizione senza criticare anche l’altra: quindi sono dipendenti da entrambe e aspettano come va a finire».
Se si volesse cercare un padre nobile del terzismo forse si dovrebbe rintracciare Mario Segni, infaticabile terzista di tendenza referendaria, ma infaticabile collezionista anche di flop e magre figure elettorali. La stessa fine che rischiano di fare gli altri cultori di quel fantomatico polo di gente seria e responsabile, tanto da fare un effetto strano. I finiani che si augurano, contro i malevoli, di fare la fine di Rutelli («Non sarebbe male»), Rutelli che elogia Fini perché «si sta muovendo bene» verso il vagheggiato terzo Polo, Montezemolo che dice e non dice, «voglio fare qualcosa di positivo per il mio Paese, questo non significa diventare leader di un partito.

Almeno per il momento». Già, il leader, chi lo farebbe il leader del terzo Polo, tra tanti e qualificati contendenti? Se dovesse scoppiare la guerra per la leadership, c’è da scommetterci, il terzo Polo somiglierebbe tanto ai primi due...

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