da Roma
Rimandati a settembre. E per di più con due spade di Damocle che pendono sulla testa, due materie a rischio riparazione: «intercettazioni» ed «economia». E con tre leader di primo piano in grande difficoltà di immagine: Piero Fassino, Massimo DAlema e Vincenzo Visco. Il bello è che loro sono contenti. Possibile? Se si evita una possibile bocciatura sì. Così, mentre il ministro Giuseppe Fioroni medita di reintrodurre lesame di riparazione per gli studenti che zoppicano sulle tabelline, i Ds fanno di tutto per rinviare lesame del Parlamento per i loro leader che arrancano nei procedimenti penali.
E così, per evitare anche solo il rischio di un voto che il clima politico e lumore dellopinione pubblica rendono molto probabile, hanno fatto di tutto per posticipare il pronunciamento della Giunta di Montecitorio sulle intercettazioni, che a sua volta posticipa quello dellAula. Insomma, un capolavoro di tattica parlamentare, per di più dissimulato sotto quella apparente e solenne dichiarazione con cui Fassino e DAlema dicevano: «Accetteremo la decisione del Parlamento». Figurarsi. Dire che accettano è ottimo per limmagine, soprattutto se subito dopo i tuoi deputati si impegnano - come hanno fatto quelli dellUlivo in Giunta - per fare in modo che la decisione sia rinviata alle calende greche.
Certo, cè ancora oggi per decidere, ma ieri sera anche il presidente della Giunta Carlo Giovanardi, ovvero il parlamentare che si è battuto fino allultimo a sostegno dellidea che ci si potesse pronunciare subito, era scoraggiato: «Temo proprio che non ce la faremo». La linea strategica-guida dei diessini, apparentemente è semplice: «Rinviare». E per prendere tempo, la Quercia si affida allo spirito di azzeccagarbugli dellonorevole Lanfranco Tenaglia, ulivista, vicepresidente della Giunta, ex magistrato, profondo conoscitore dei delicati congegni che regolano la farraginosa macchina giuridico-parlamentare. Tenaglia, per mimetizzare il suo ostruzionismo, ha partorito un uovo di Colombo: le «memorie difensive» di DAlema e di Fassino alla commissione. Non sono richieste da nessun regolamento, non servono per il voto dei commissari, e per di più creano un precedente anomalo rispetto a tutte le decisioni prese dallUnione in precedenza, quando non toccando ai suoi deputati, sosteneva (anche per bocca di Tenaglia) che bisognava solo verificare «la correttezza tecnica» dei dispositivi approntati dai magistrati. Ma per Fassino e DAlema la musica cambia: «Non è che ho chiesto proprio di rinviare - cavilla il vicepresidente della Giunta -: è che non possiamo ridurci a dei semplici passacarte! Bisogna sentire molti colleghi che hanno chiesto di parlare». Fantastico.
Ma dietro questi sapienti giochi di melina, gli obiettivi che la Quercia considerava vitali erano almeno tre, due dei quali prevalentemente mediatici. Il primo separare lassociazione dei suoi leader alla vicenda di Cesare Previti, esigenza fondamentale per poter salvare la faccia di fronte ai militanti (e scongiurare lidea che anche gli uomini della Quercia «sono come gli altri»). Il secondo era la necessità vitale di far passare più tempo possibile dallormai famoso dispositivo con cui la Forleo spiegava perché i magistrati di Milano vogliono poter utilizzare quelle intercettazioni. Non solo per allungare i tempi dellinchiesta, ma anche perché questo voto sarebbe caduto in uno dei momenti più drammatici della storia diessina: un partito non più partito, un leader non più leader, un ministro degli Esteri che deve lasciare il passo al suo avversario storico. Prendere tempo, per Fassino e DAlema, significa sperare di rifarsi una verginità dopo lo stillicidio delle intercettazioni pubblicate e ripubblicate per mesi nello sconcerto dei militanti diessini.
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