Qui Milano: c’era una volta la città dei poteri forti

Questa è la storia di una città che non riesce più a mettersi d’accordo su nulla. Non è un giudizio di merito, ma una semplice constatazione. Milano della crisi economica e finanziaria litiga. Eccome. Mettiamo in fila solo le ultime vicende che riguardano quel complesso impasto di affari, interventi pubblici e gestioni pubblicistiche, che legittimamente arrivano in un gabinetto dell’amministrazione pubblica. Per guidare la banca di Milano, la Popolare di piazza Meda, che stancamente si affaccia su una voragine in attesa di un parcheggio, corrono la gara in due. Senza esclusione di colpi, anche su Internet. Entrambi vinti dal peso dei sindacati interni. La ex municipalizzata dell’energia, fusa con i cugini bresciani, ha visto azzerati i suoi vertici in un comunicato stampa. Per due mesi si è combattuto per trovare un successore alla guida della potente Fiera di Milano e alla fine si è scelta la continuità, ma solo dopo un’aspra battaglia e un nuovo consiglio per il pretendente sconfitto. E poi l’Expo. La splendida vittoria ha comportato poi un tira e molla con Roma da far spavento. Anche gli industriali sono alla ricerca di una soluzione per il proprio vertice. L’Assolombarda era considerata la più importante organizzazione territoriale. Oggi naviga in un’impasse totale: i saggi sono costretti a scegliere tra un rispettabile Carneade e il vecchio saggio delle ex partecipazioni statali. Difficile immaginare un interlocutore più debole nei confronti della politica e della società milanese. Altro che Milano da bere. Milano si è bevuta anche l’ultimo cicchetto.
La storia nasce da una grande vittoria. Quella appunto dell’Expo. A cui nessuno credeva, se non la signora Moratti. Ma una volta raggiunto il risultato si sono aperte le danze. Con l’amministrazione milanese che ha preteso di utilizzare la vittoria come il jet privato che ha portato la delegazione vincente in giro per il mondo a cercare consensi: come «roba» propria. E dall’altra il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, al cui ministero verrà presentato il conto, che avrebbe detto alla Signora: «Il governo non è tuo marito». Una battuta troppo bella per essere vera.
I poteri forti di Milano sono sempre stati diffusi, policentrici. È pur vero che si tratta da sempre di una città aperta, con un cardinale solo di un gradino sotto al Papa, con una presenza di Comunione e Liberazione e del suo braccio armato la Compagnia delle Opere in «laica» attesa di chi governa, con una struttura industriale diversificata e con un sistema del credito che risponde ad interessi e costumi diversi. Ma mai una repubblica moderna è apparsa così divisa e litigiosa.
Non si riesce a trovare un accordo financo nella gestione dell’elettricità. Una volta fusa la propria ex municipalizzata con quella bresciana sono iniziati i dolori. Culminati nella recente decisione di far fuori (scelta bresciana, molto apprezzata a Milano) l’intero consiglio di sorveglianza della A2A (così la città del design nomina le sue creature). Ma non basta. L’A2A vive in condominio con i francesi di Edf il controllo della storica Edison. E anche qui, nessuno si raccapezza più. Il manager di punta dell’elettricità milanese, Giuliano Zuccoli, vorrebbe una scissione di questa alleanza che scricchiola ogni momento di più. Dalle parti di Palazzo Marino non si vede male invece una fusione di A2A con i francesi, sì da diluire il peso dei consigli comunali, ma nel contempo avvicinare i dividendi alle casse pubbliche. Si potrebbe continuare per ore: ad esempio ricordando che il nuovo mostriciattolo elettrico controlla una novantina di società, tutte dotate di consigli di amministrazione sparsi per la Pianura padana.
Ma ritorniamo alla questione di fondo. Cosa sta succedendo in quel tessuto sano che ha rappresentato la finanza e l’economia milanese? Ci sono forse due fattori scatenanti.
Il primo è proprio quello della politica. Il ciclone Moratti ha rappresentato un vulnus nella gestione dei rapporti di forza. Come dimostra il caso Expo, la Signora è un corpo estraneo. Non ha bisogno di utilizzare mediazioni per raggiungere i palazzi romani, come non ne necessita per convincere i delegati del Senegal. Ma questa sua forza l’ha pian piano allontanata dal tessuto politico che si era consolidato in Lombardia. E anche Roma le ha creato più di un problema. Proverbiali, appunto, i bisticci con Tremonti che le riservò una sferzante battuta quando in occasione dell’introduzione della Robin Tax (la tassa sui petrolieri) si disse poco preoccupato del futuro impatto sui conti della Saras, società della famiglia Moratti. Ma difficile anche la sintesi con un presidente di Regione di comune partito. E se Roberto Formigoni non dovesse cogliere l’opportunità che, si dice gli verrà offerta, di diventare commissario europeo, la convivenza rischia di peggiorare.
C’è un secondo fronte. E si chiama Mediobanca, la banca d’affari di Piazzetta Cuccia. Per anni ha rappresentato per Milano una stanza di compensazione delle famiglie della borghesia che contava. È stata, anche se indirettamente, un interlocutore della politica, gestita in un palazzo a pochi metri di distanza dalla banca. Oggi ha perso questo ruolo. Forse non ha intenzione di giocarlo.

Ma quel che conta è che nella sua nuova dimensione non sembra avere alcuna influenza nei conflitti del potere milanese.
Spesso si è descritta Milano come la città dei poteri forti e delle grandi ambizioni. Quel che resta oggi è la lite sul consiglio di sorveglianza di A2A.

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