RomaPrende tempo, per capire quali siano i reali margini di manovra. Se ne sta blindato, nel silenzio di Arcore. Anche se a ora di cena corre a Villa Gernetto, a Lesmo, dove chiama a raccolta alcuni imprenditori, testimoni di quellItalia del fare che gli sta tanto a cuore. Ma questa è unaltra storia, e non ha nulla a che fare con il «pasticciaccio romano» che inquieta tutto il Pdl. Ragion per cui Silvio Berlusconi sbuffa, si arrovella, e ogni tanto sbotta. Gli viene naturale, dinanzi ad una vicenda che ha i contorni del grottesco, lontana anni luce da quella efficienza organizzativa di cui fa vanto da decenni. «Non ci credo! Ma come è possibile che non sia stata presentata la lista? È inammissibile, anche se qualcuno degli avversari ne avesse approfittato o fosse solo colpa di procedure burocratiche». Chi ha modo di sentirlo descrive così il suo ragionamento, condito da una tirata dorecchie: «Che errore da dilettanti!».
Smaltita in parte larrabbiatura - figlia tra laltro di un malcontento più ampio che va avanti da settimane, per via della gestione complessiva della partita Regionali, dal caso Puglia in poi -, il Cavaliere prova a reagire. Si attacca al telefono per consultare i suoi uomini di fiducia e riflette sulla strategia da seguire, per evitare che davvero vada tutto gambe allaria. Così, dopo la prima decisione (negativa) della Corte dAppello, che ha escluso la lista del Pdl dalla competizione di Roma e provincia - parliamo di circa 2,3 milioni di elettori, un dato che allarma non poco il premier - si affida innanzitutto alle contromosse di Ignazio Abrignani, responsabile del settore elettorale del partito (chiamato a sbrogliare la matassa laziale alle due del pomeriggio, due ore dopo il fattaccio), che annuncia tutti i ricorsi possibili, fino al Consiglio di Stato. «Dobbiamo fare di tutto», incalza non a caso il premier, allo scopo di evitare che il Popolo della libertà venga danneggiato da quella che Ignazio La Russa definisce, al ribasso, «una grande leggerezza».
Per capirci, Berlusconi è più che «sconcertato», come viene definito da Renata Polverini, dopo lennesima telefonata tra Roma ed Arcore. E se non alza la voce quanto vorrebbe è soltanto per non creare ulteriori tensioni, in un momento così delicato, con il partito intero chiamato a mantenere i nervi saldi. Nella speranza che la vicenda non lasci strascichi irrimediabili, compromettendo una vittoria «quasi certa». Il rischio cè e lo sa bene pure il presidente del Consiglio, consapevole che lestromissione del Pdl dalla scheda spiazzerebbe gli elettori romani. Ecco perché comincia ad analizzare pure leventuale fase b, quella da affrontare solo in extrema ratio. Il cruccio è il seguente: i voti del centrodestra potrebbero confluire nelle liste civiche che appoggiano la governatrice, ma non sè mai visto un candidato appena estromesso dalla corsa impegnarsi nel portare acqua e voti, solo per spirito di servizio. Si vedrà, soltanto nel peggiore dei casi.
Ma intanto, cosa fare? Aspettare e incrociare le dita per le decisioni della magistratura, chiamata ad assumersi la responsabilità di estromettere definitivamente o meno il partito italiano più grande. Ma non solo. Il jolly era già saltato fuori sabato sera, nei colloqui tra il Cavaliere e alcuni esponenti pidiellini di spicco, ma viene calato solo ieri, dopo il primo stop della Corte dAppello. Nulla sembra casuale. Gianni Alemanno, Renata Polverini, Fabrizio Cicchitto. Cosa li accomuna? Lappello al capo dello Stato, al «garante della democrazia», che «non può essere uccisa dalla burocrazia», affinché sia chiara a tutti pure «lentità del problema di fronte al Paese». Già, Berlusconi tace (almeno per il momento), ma dà il via libera alliniziativa, promossa e messa in campo dai principali attori in azione sul palco capitolino.
«La speranza è che alla fine prevalga il buon senso», confida comunque il Cavaliere, che assicura: «Non rimarremo fuori dal Lazio». Pronto, solo se necessario, a spingersi oltre. Ecco perché nel Pdl cè chi non esclude un suo intervento diretto. Potrebbe magari avvenire oggi, a margine del Consiglio dei ministri.
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