RACCONTI DI VITA FA VINCERE LA SPERANZA

L’orario è scomodo e gli argomenti tosti, perché in un modo o nell'altro a Racconti di vita sera (martedì su Raitre, ore 23,50) si finisce per parlare di sofferenze fisiche e psichiche, percorsi esistenziali complessi, vicissitudini umane segnate da destini impegnativi. Eppure, per paradossale che possa sembrare, questo condotto da Giovanni Anversa è un programma ricco come pochi altri di speranza, di aneliti positivi, di fiducia nella possibilità di trovare un senso anche alle esperienze più dure, purché ci si rifiuti di gettare la spugna. La sostanza della trasmissione ha una indubbia matrice religiosa, almeno sotto il profilo della pietas e della sensibilità con cui si portano all'attenzione dello spettatore i problemi umani più disparati, ultimo in ordine di tempo quello della sordità. Ma l'approccio è laico nel senso migliore del termine, tanto è vero che viene evitato con molta cura il rischio della deriva retorica, della strumentalizzazione sentimentale che verrebbe probabilmente persino perdonata visti i temi trattati e le testimonianze raccolte. Racconti di vita sera entra con naturalezza nella vita quotidiana delle persone di cui si occupa, e questo è già di per sé un punto di merito, là dove il percorso di troppi cronisti televisivi ci ha abituato, negli ultimi tempi, a trasformare anche le migliori intenzioni documentaristiche in una vera e propria azione intrusiva e invasiva, sino a far diventare la telecamere come un corpo estraneo e imbarazzante rispetto al contesto osservato. Anversa e il suo gruppo riescono quasi sempre a entrare in empatia con gli intervistati, con cui non di rado li vedi cenare o condividere alcuni passi semplici della vita di tutti i giorni. È anche così che, ad esempio, si riesce a raccontare con intensa semplicità la storia di due ragazzi non udenti, facendoci entrare nel loro mondo in punta di piedi, rispettosi del silenzioso mistero che li circonda e che i genitori definiscono con la parola «magia». Pertinenti e interessanti anche le interviste in studio che spesso accompagnano i filmati. Nell'ultima puntata si è visto volentieri Pino Roveredo, scrittore vincitore del recente Campiello con il bellissimo libro di racconti Mandami a dire. Ha raccontato la sua esperienza di figlio di genitori non udenti, l'infanzia scandita dai gesti anziché dalle parole, al punto di considerare il silenzio come una dimensione naturale e persino necessaria.

Ha confessato che scriveva malissimo, i primi tempi, e che ha dovuto abituarsi a esprimersi - sia a parole che con la penna - per venire a patti con il mondo. Anche questo genere di interviste va in onda a mezzanotte e dintorni e sottovoce, ma ogni riferimento a personaggi o trasmissioni di altro tipo è puramente casuale.

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