Le ragazze israeliane alla guerra «Paura? Sì, per i genitori a casa»

Per la prima volta anche le donne sono state chiamate a prestare servizio come piloti o in prima linea, non più come segretarie o infermiere

da Gerusalemme

Comandante Sharon Parger, 21 anni, carrista, di origine canadese, immigrata in Israele pochi anni fa, non ha avuto il tempo di abituarsi alle scomodità della vita in guerra. «Nella nostra base ragazzi e ragazze dormono in stanze separate, qui al confine col Libano dormiamo tutti insieme», racconta. «Siamo in guerra e non c’è certo il tempo di pettinarsi o cambiarsi, ma mi sono abituata in fretta alla sporcizia e al disordine, fa parte della vita di una combattente». Sharon e un’altra ragazza sono le uniche due soldatesse che si trovano al confine col Libano, tra un katiuscia e l’altro impartiscono ordini ai loro uomini. «Qualche volta ho paura, ma cerco di soffocarla», ammette.
Da anni si parla di una rivoluzione femminile nell’esercito israeliano. In questa guerra, per la prima volta le donne sono parte integrante delle unità combattenti. «Questa è la prima vera guerra delle donne», hanno titolato i giornali israeliani. Dall’epoca della guerra d’indipendenza, in cui le donne combattevano al pari degli uomini, l’esercito israeliano usava le donne come segretarie o infermiere. Oggi il 2,5% prestano servizio in unità combattenti, come ufficiali e comandanti.
«Non c’è nessun motivo che vieti alle donne di diventare vere combattenti», dice Tami, comandante dell’unica batteria di missili antimissile Patriot dislocata nell’area di Haifa. «Anche nella guerra d’indipendenza hanno combattuto molte donne, mia nonna nascondeva bombe a mano nel reggiseno per portarle ai soldati, mia madre era sulle alture del Golan quando i siriani attaccarono, e ora è il mio turno». Tami è l’unica donna a far parte della batteria. «Fisicamente non ho più difficoltà dei maschi, ma mentalmente è un compito che richiede grande concentrazione. Nessun soldato si è mai rifiutato di eseguire un compito da me ordinato per il fatto che sono una donna. All’inizio avevo paura che i riservisti, uomini di una certa età e con molta più esperienza di me, potessero avere problemi ad essere comandati da una donna. Invece mi apprezzano, anzi in caso di necessità mi aiutano».
Anche l’aeronautica conta sempre più donne tra le sue file. Da quando la scuola di aviazione ha aperto le porte al gentil sesso, 12 ragazze hanno superato i corsi e sono diventate pilota di aerei, elicotteri o aiuti-pilota.
G., pilota di F16, vola tutti i giorni sul Libano. «Ha finito il corso sei mesi fa, e ora fa parte dei piloti dell’aeronautica israeliana a tutti gli effetti», racconta Gali, il comandante. «Da quando è iniziata la guerra i nostri aerei sono in volo 24 ore su 24, ogni turno non dura meno di 6 ore, G. vola come tutti gli altri piloti con risultati ottimi».
Anche Osnat, 23 anni, è riuscita a diventare pilota di elicotteri. «Ultimamente Osnat non torna spesso a casa, ci sono giorni in cui non riesco neppure a chiamarla», dice preoccupata la madre Ruti. «Non so esattamente cosa faccia, ma sono sicura che il suo compito è molto importante. Per Osnat è naturale che le donne facciano tutto quello che fanno gli uomini. Quando io ho fatto il servizio militare non era così».
Da più di una settimana l’ufficiale Ortal, 23 anni, non scende dalla sua nave. Ha sempre amato il mare, e quando ha dovuto scegliere ha deciso di far parte della marina.

Ora continua a navigare tra Gaza e il Libano, e grazie alla tecnologia Ortal e i suoi soldati riescono a individuare i punti da cui i palestinesi e gli hezbollah lanciano i katiuscia contro Israele. «Mi sento protetta quando sono sulla mia nave, sono molto più preoccupata per i miei genitori che vivono a Haifa», dice. «Non amo la guerra, ma sono pronta a combattere fino a quando annienteremo l’ultimo katiuscia».

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