Raikkonen mondiale col giallo in coda

I genitori rinunciarono al bagno in casa per comprare un bolide al piccolo Kimi. Shumacher capì per primo che il finlandese poteva essere il suo erede

Raikkonen mondiale col giallo in coda

San Paolo - In principio fu un bagno. Inteso nel senso meno nobile ma più utile del termine: ovvero un wc. A rigor di logica e buon senso, infatti, il primo... come dire... mezzo, con cui Kimi Raikkonen avrebbe dovuto mettersi in evidenza, doveva essere munito di asse, sciacquone e sifone. Se non fosse stato per l’incosciente lungimiranza di papà Matti e mamma Paula, Kimi e tutta la famiglia Raikkonen avrebbero potuto godere finalmente di un bagno in casa. Invece, quei pazzi destinarono i pochi risparmi all’acquisto di un piccolo bolide a motore per il biondo ragazzetto.

Il bagno in giardino
Per cui siamo di fronte a un caso unico nella patinata storia della formula uno: al primo campione del mondo, per di più sulla regina Rossa, per di più erede di Schumi, che oltre all’indubbio talento deve la propria carriera a un gabinetto. Perché l’algido ragazzo è algido solo per i media, in quanto gli amici lo raccontano assolutamente unico, capace di goliardate di tutti i tipi e pure le cronache ante-Ferrari ne tramandano le gesta: tipo sbronza colossale durante la festa nazionale finlandese, tipo ballo lap dance e strip tease sul tavolone di un locale londinese.

Aveva tre anni Kimi, e tutti già lo vedevano far polvere fuori dalla casa nei boschi di Karhusuo, vicino a Espoo, la città sul fiume dei pioppi. Giocava con il fratello Rami. Il loro bolide era una bmx, uno di quei terribili bolidi a pedali di recente entrati nelle discipline olimpiche: in pratica, vere bici da cross. «Sulla macchina a pedali, Kimi proprio non andava - ricorda suo padre - però adorava quelle biciclettine, e come ci sapeva correre... Solo che i miei ragazzi crebbero e le bici nuove costavano davvero tanto, andavano cambiate spesso, erano molto sofisticate». Così papi e mami comprarono due vecchi catorci Lada, residui della motorizzazione sovietica: una Rossa che ovviamente - preveggente - si prese Kimi, e una verde. Con quei pezzi da rottamare, i due fratelli diedero vita a personalissimi e combattutissimi campionati familiari «e il grande prato attorno a casa nostra somigliò sempre più a un campo di patate» ricorda papà Matti. Quindi le due Lada furono vendute e con il ricavato venne acquistato un go-kart. Uno solo per due, questo il problema. E fu guerra in famiglia. «Rami è più alto di Kimi, per cui era difficile adattare il kart a uno e all’altro; così andava a finire che anziché cronometrare il giro, tenevano il tempo delle soste per cambiare il sedile... Decidemmo di comprare un altro kart».

Chi sposa la zia?
Fu in quel momento che padre, madre e figli, riuniti in seduta straordinaria, presero la ferale decisione: soprassedere alla ristrutturazione della propria casetta e rinunciare all’attesissimo (lo ricordiamo, siamo in Finlandia, non alle Maldive) bagno in casa.
Il resto è storia relativamente recente, ma c’è un altro aneddoto. Accade tutto nel 1999, quando Kimi ha ormai fatto parlare di sé nel mondo dei kart, e quando papà ha rastrellato i pochi risparmi in banca per mandarlo in Inghilterra a correre nelle formule minori. «La famiglia lo accompagna all’aeroporto, e papà Matti gli mette in tasca 500 dollari: «È tutto quello che posso darti, usali con saggezza, per mangiare, per le emergenze». Il ragazzo parte. In Formula Ford si piazza terzo all’esordio, poi non svetta ma si fa notare, alla fine sarà quarto nella classifica europea. È a inizio 2000 che arriva il fatidico colpo di... «Kimi, la zia si sposa» gli telefona la mamma. Che importa? Importa molto, visto che la zia convola con Jussi Rapala, proprietario della più grande azienda di canne da pesca della Finlandia. La vita motorista del ragazzo cambia: Kimi ci mette l’anima, però sa di poter contare su uno sponsor sulla propria vettura. E vince, stupisce, sette vittorie su dieci gare in Formula Renault, e pole, giri veloci. Alla fine saranno 23 corse in tutto. Poche per ambire alla F1.

La F1 non lo voleva
Alla fine di quell’anno, Peter Sauber, fondatore dell’omonimo team F1 - poi fagocitato dalla Bmw -, messo sul chi va là dal manager Steve Robertson, lo nota, lo invita a dei test e sgrana gli occhi: «Fece qualche giro, poi si fermò e mi disse: “adesso massaggio un poco il collo e riparto. Così evito che mi venga male dopo”. Era attento a tutto, deciso, non si era fatto prendere dalla smania di far giri su giri come gli altri. E infatti fece subito dei gran tempi. Quel giorno al Mugello c’era anche Michael Schumacher che della sua classe si innamorò, segnalandolo alla Ferrari. Michael vedeva nel giovane se stesso da ragazzo, e Kimi, nel grande tedesco, il campione da imitare. Entrambi, fateci caso, sono freddi in pista, nei rapporti con la gente, ma gelosi della propria privacy. Sarà proprio Schumi a consentirgli di debuttare in F1.

Nell’inverno del 2000, la Commissione F1 si riunisce per decidere se concedere al finlandese la super licenza. Le 23 gare fatte con la formula Renault sembrano troppo poche. Max Mosley, presidente Fia, non lo vuole. Interviene Schumi che agisce da vero politico: fa sapere il proprio parere mezzo stampa. E la commissione cambia opinione. «Se Schumacher si fida, vorrà dire che il ragazzo vale», diventa il pensiero collettivo. Mosley incassa, però avverte Kimi: «Al primo errore sei fuori».

Da quel momento, la carriera di Raikkonen corse ancor più veloce: un bella stagione con la Sauber, poi Ron Dennis e la McLaren pronti a tutto pur di averlo al posto di Mika Hakkinen. È così che il boss svizzero vince al superenalotto e lo vende a peso d’oro (20 milioni di dollari). Kimi non delude Ron Dennis: nel 2002 centra due secondi posti; la stagione successiva è vice campione del mondo dietro a Schumacher; nel 2005 fa lo stesso alle spalle di Alonso. Quell’estate arriva anche l’accordo segreto con la Ferrari pronta, dal 2007, ad affiancarlo al suo idolo: Schumi. Poi gli eventi ben noti, poi il ritiro del tedesco, poi la vittoria all’esordio in sella al Cavallino e il titolo al termine di una stagione da fondista.

Oggi sorride Kimi, pensa a quel bagno nel cortile, pensa ai 500 dollari di papà, pensa allo zio delle canne da pesca, pensa a quella Lada rossa come la Ferrari che «tinsi di nero...

- rivelò un giorno – perché non ho mai avuto idoli, né modelli da imitare o divinità da pregare... però conosco la storia della Ferrari». Per cui sapeva che solo il Cavallino può essere rosso, non certo una Lada da rottamare.

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