Roma Niente pollini né acari. L’allergia primaverile degli italiani è alle urne. Elettorali, s’intende. Poco importa che sia stata una splendida domenica delle Palme, con temperature finalmente in linea con la stagione in corso. E figuriamoci se sia stata l’ora legale ad aver frenato la corsa ai seggi, per via delle lancette spostate avanti di un’ora. Il dato politico è un altro ed è chiaro, incontrovertibile, tranne che oggi ci sorprenda un drastico cambio di rotta. Per adesso, insomma, a vincere è l’astensionismo.
L’andazzo allarmante s’intuisce sin dal mattino. Alle 12, infatti, solo un italiano su dieci, in media, è già entrato in cabina: 10,19% il dato diffuso dal Viminale - che non contempla Toscana, Marche, Calabria e Puglia, che comunicano autonomamente i riscontri relativi al proprio territorio - quasi tre punti sotto rispetto al 2005, quando si superò il 13 per cento. Alle 19 la storia si ripete, anzi peggiora, visto che il calo è ancora più evidente, arrivando a segnare il 7 per cento. Cinque anni fa, alle precedenti Regionali, l’affluenza fu del 41,96%, mentre nel tardo pomeriggio di ieri si è fermata al 34,9%, rileva il ministero degli Interni. Poi il dato finale delle 22: 47,1% a livello nazionale, ovvero un calo dell’8,8%.
Dato stabile per le Provinciali, mentre per le Comunali la flessione è di circa il 5%. In controtendenza la provincia dell’Aquila: in netto calo in mattinata (alle 12 aveva votato solo l’8,6%), l’affluenza alle 22 ha segnato un 47,1%, oltre 11 punti in meno rispetto a 5 anni fa.
Il tonfo più evidente si registra nel Lazio (complice, è evidente, l’esclusione della lista del Pdl per Roma e provincia), dove vota il 43,3% degli elettori, in calo di quasi il 12% rispetto alle precedenti consultazioni omologhe (55,8% cinque anni fa). Ancora peggio va però nella Capitale, dove si reca ai seggi il 41,3% degli aventi diritto, a fronte però del 54,4% del 2005 (flessione del 13,1%). Ma il trend negativo, in linea generale, accomuna tutte le 13 regioni in ballo, in maniera tutto sommato bipartisan. Basti pensare che nelle rosse Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Marche la temperatura elettorale segna fino a meno 10 per cento, come in Puglia. Va un po’ meglio in Lombardia e Liguria (-9%), il Piemonte appena sotto l’8%, «bene» la Calabria con meno 6,9%, chiudono Veneto (-7%), Basilicata (-5%), Campania (-6,6%). Ciascuno commenterà a modo suo. È la politica, bellezza. Ma su un punto si registra (quasi) l’unanimità: alle urne si va con un look casual, senza distinzioni tra maschietti (fa eccezione Giulio Andreotti, in cappotto lungo) e femminucce. Qualche esempio? Partiamo da Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani. Il premier si presenta quasi a mezzogiorno in via Scrosati, a Milano, in giacca scura e camicia di una tonalità un po’ più chiara, aperta sul collo, mentre il segretario del Pd (pullover girocollo color carta da zucchero su camicia azzurra a righette), alle 11 è a Piacenza, accompagnato dalla moglie Daniela e dalla figlia Elisa. Giorgio Napolitano si reca in via Panisperna, al rione Monti, vicino alla sua abitazione e a due passi dal Colle, alle 17, insieme alla consorte Clio. Strette di mano al seggio, poi il rientro al Quirinale.
Umberto Bossi vota poco più tardi alla scuola don Orione di via Fabriano, nel capoluogo lombardo, nei pressi del quartier generale leghista. E se Ignazio La Russa, sempre a Milano, va a votare in maglione scuro, camicia chiara sbottonata, pantaloni beige e, a ricoprire il tutto un giubbetto da ragazzo in gita in moto, anche Pier Ferdinando Casini non viene meno alla moda da weekend. Per il leader Udc - nella Capitale con la moglie Azzurra e i figli Caterina e Francesco - jeans azzurro chiaro e camicia ton sur ton, anche se in giacca scura. Look rilassato pure per Antonio Di Pietro. Da Curno, nel Bergamasco, descrivono così il presidente dell’Idv: pantaloni grigi, maglione nero e candida camicia.
Infine le signore. Scelte diverse per le due candidate alla guida del Lazio.
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