A «REPUBBLICA» SCAPPA DI MANO IL MANGANELLO

Non pensiamo che ci siano manganelli di carta in questo Paese. Noi non siamo un manganello di carta. Ma il fatto che il direttore di Repubblica per rispondere al premier usi questa espressione, nel suo editoriale, la dice lunga su come quel milieu politico-editoriale concepisca la funzione del giornalismo. Del resto non a caso quello fondato da Scalfari è stato ed è da sempre il primo grande quotidiano-partito d’Italia. Che usa le informazioni per fare, dichiaratamente, battaglie politiche. E che magari non usa il manganello, ma sa far male quando colpisce con le veline passate dalle amiche Procure.
Adesso quel quotidiano-partito s’accorge di non controllare più le zucche del Paese. Si accorge che c’è un mondo che sta cambiando per vie diverse da quelle che per anni hanno disegnato nella loro redazione. Si accorge che la rivoluzione nella pubblica amministrazione la fa Brunetta, non la Cgil. Che il cambiamento nella scuola la fa la meritocrazia, non il 6 politico. Si accorge che la vera integrazione non si realizza attraverso le formule vuote del buonismo veltroniano, ma facendo rispettare le leggi. Capisce che il mondo sta cambiando, senza chiedere il permesso a Scalfari. E non se ne capacita. Sbrocca.
Sia chiaro: noi troviamo lecito fare domande al premier. Un quotidiano deve fare domande, nasce anche per questo. Però è possibile che facendo domande non si ottengano risposte. Pensi un po’, il direttore di Repubblica: è da gennaio che noi poniamo alcuni semplici quesiti a Di Pietro e lui non ci ha ancora risposto. Anzi, ogni volta che riproponiamo i dubbi, con nuovi elementi, ci querela. Peggio: ci cita per danni, perché sa che quello è lo strumento migliore di intimidazione per chi lavora nei giornali. E attenzione: noi a Di Pietro non chiediamo se si sente bene o no, non chiediamo con chi passa le sue serate o quali feste ama frequentare. No: noi chiediamo conto a lui, principe dei moralisti, di come utilizza il denaro pubblico. Rispondere non dovrebbe essere cortesia, ma dovere.
Invece Di Pietro non risponde. Di Pietro querela. E Repubblica? Tace. Lo trova normale. Nemmeno un articolo di indignazione, nemmeno un rigo di solidarietà. Niente di niente. Se Palazzo Chigi, invece, replicando a Repubblica, parla di campagna d’odio ecco che scatta il Soccorso Rosso, l’allarme democratico. È un attentato alla libertà di stampa. Visto che siamo in tema di domande: mi sa spiegare il direttore di Repubblica, perché? Perché la risposta di Palazzo Chigi è un attentato alla libertà di stampa e la querela di Di Pietro no? E già che ci siamo, mi sa spiegare anche perché lui, che è un grande professionista, sente il bisogno, nella sua polemica con il premier, di definire altri giornali come «manganelli»? E lui, allora, che cos’è?
Lo vedi, caro Mauro, quando si perde lucidità si finisce per scivolare in una contraddizione così evidente che al confronto di certe tue affermazioni, la verginità di Cicciolina risulta più credibile. Nel cuore del tuo articolo, infatti, dici che le inchieste di un giornale non c’entrano nulla con l’editore. Benissimo. A poche righe di distanza, però, ci definisci giornale «berlusconiano» (quindi riconducibile integralmente alla volontà dell’editore). E così fa anche Gad Lerner nell’articolo in prima pagina, citando un nostro editoriale con l’immancabile chiosa sul «Giornale berlusconiano». Come a attribuire il nostro pensiero direttamente a Berlusconi, essendo noi incapaci di averne uno in proprio.
E allora mettiamoci d’accordo: o le inchieste e gli editoriali non c’entrano nulla con l’editore o invece c’entrano. Lo stesso principio, però, deve valere per voi come per noi. Siamo tutti un po’ maiali? D’accordo. Ma voi non siete maiali più uguali degli altri. Abbiate pazienza, ma siamo stufi. Siamo stufi di questa vostra presunzione di superiorità, di questa vostra puzza sotto il naso, di questa vostra arroganza, come la definisce Giampaolo Pansa, nel suo ultimo libro. Se noi siamo il giornale berlusconiano, voi siete il giornale debenedettiano. E se voi invece pretendete il diritto di esprimere idee indipendenti dall’editore, be’, questo diritto riconoscetelo anche agli altri. Di lezioni non ne accettiamo più.

Non da voi che da sempre teorizzate il quotidiano-partito, che da sempre fate politica attraverso le notizie e i pm, che da sempre dividete il mondo in buoni e cattivi. Capisco il vostro sbandamento, capisco il vostro disorientamento. Ma, per favore, un po’ di coerenza: almeno lasciate stare il manganello.

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