Il retroscena Sul tavolo dell’intesa carciofi, crisi e frutta cotta

RomaMontecitorio, ufficio di presidenza, ore 13.40. Gianni Letta un passo avanti, Silvio Berlusconi subito dietro. Uno sguardo ai cronisti, poi dritti alla meta. Gianfranco Fini li attende nel suo appartamento, insieme al maggiordomo. «Ciao, come stai?», «Bene, e tu?». Si salutano come vecchi amici che non si vedono da tempo. All’inizio un po’ tesi, raccontano. Ma si scioglieranno, usciranno a braccetto. Aperitivo, antipasto, insalata di carciofi, spigola al forno e frutta cotta. Ma nel menu politico c’è roba pesante: riforme, crisi economica, Pdl.
Prima però di affrontare il nodo partito unico, per calibrare insieme gli ingranaggi, l’accenno va sull’opposizione. Fini chiede un’apertura al dialogo, per lavorare ad una legislatura di riforme. Ben venga, ci mancherebbe - ragiona il Cavaliere -, purché io non venga coinvolto in prima persona. Insomma, avanti tutta in Parlamento, ma «non mi siedo» al tavolo con chi mi insulta (niet piuttosto noto).
Si passa alla questione economica. Un tasto dolente. E Fini, riferisce chi ha avuto modo di parlargli, chiede al premier di porre un freno a Giulio Tremonti. Per evitare che si divarichi ancora di più la forchetta tra Nord e Sud. Il premier concorda sugli interventi per il Mezzogiorno, ma ricorda pure gli impegni già presi dal governo. Pronto comunque ad intervenire per evitare nuovi contraccolpi prodotti dalla crisi.
Si arriva al Pdl. Per entrambi, garantiscono più fonti, l’obiettivo comune di arrivare al Congresso costituente entro i tempi ipotizzati (27 marzo) è da rispettare a tutti i costi. «Per noi è una data storica», attacca il Cavaliere. «È fatidica», ribatte il padrone di casa. In ogni caso, l’accordo, per mettere fine ai mugugni degli aennini, che temono l’annessione ai cugini azzurri, è stato siglato. Quindi, «niente partito leggero», con il rischio che il dibattito venga eluso da una struttura troppo leaderistica, tarata per gli eredi di Forza Italia. «Ma neppure troppo pesante», ribattono in via dell’Umiltà. E così, Berlusconi e Fini giocano a carte scoperte. Concordano sulla necessità che il futuro partito unico sia «sempre più radicato nel territorio», anche per limitare la forza della Lega al Nord. E si dicono pronti, dopo aver discusso di flussi elettorali, a chiedere un maggior impegno agli eletti, ai parlamentari.
Intanto, definiscono una road-map. A giorni sarà pronto il primo documento preliminare: a seguire, la bozza dello statuto. Adesso, la palla passa ai colonnelli, con Denis Verdini e Ignazio La Russa in testa, per «passare dalle parole ai fatti» e tradurre gli intenti dei due leader. Poi, dopo il via libera di Berlusconi e Fini, sarà reso pubblico. Nel frattempo, si ipotizzano già le strutture degli organi decisionali: assemblea nazionale di circa 1.000 delegati, direzione da 100 componenti, esecutivo o ufficio politico ristretto a venti persone, tre coordinatori sotto il presidente Berlusconi. E Fini? Per il momento il diretto interessato prende tempo, anche perché il ruolo di numero 2 non gli aggrada poi molto. Ci sarà tempo di capire quale casella sceglierà.
Intanto, lasciando Montecitorio, al termine delle due ore di incontro, il premier informa così i suoi: «È andata bene, molto bene». E spiega che vi è la reciproca intenzione di sentirsi, vedersi spesso, «anche una volta a settimana», se gli impegni lo permettano. Poi rientra a palazzo Grazioli. Mette a punto il programma per la Sardegna, in vista degli impegni elettorali del week-end, e non commenta in maniera diretta.

Ciò che filtra dalla Camera, in ogni caso, è ampiamente concordato. E non si fa vedere neppure in via dei Coronari, dove - secondo una voce circolata nel pomeriggio - avrebbe dovuto dire la sua, tra una vetrina d’antiquario e l’altra.

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