Retrospettiva alla Permanente nel centenario di Gentilini

Il suo primo dipinto lo fece a 15 anni. Era il 1923. Figlio di un calzolaio, Franco Gentilini (Faenza, 1909 - Roma, 1981), amava creare ceramiche come da tradizione faentina e la passione per la pittura riprese il sopravvento più tardi, grazie all’ispirazione dell’Ottocento impressionista. Proprio per la sua passione per il connubio tra pittura e architettura e per i suoi «disegni prospettici», venne definito nel contesto della cultura italiana tra la Seconda guerra mondiale e il dopoguerra. Questa sua singolarità gli valse l’attenzione di Dino Buzzati, un connubio dal quale scaturì lo scritto «Le Chiese di Gentilinia», accompagnato da acqueforti e litografie, circa una città pensata tra sogno e realtà, impermeata di poesia, con 756 abitanti, nessun prete ma un gran numero di chiese, cattedrali, battisteri, puntalmente reinventati da Gentilini e raccontati in maniera esemplare da Buzzati.
Si tratta di cattedrali ricostruite con la memoria di altre chiese, così le città perdono aderenza con il suolo nel disegno perché anch’esse rievocate e ritrasformate nella mente dell’artista: metropoli ricche di umanità, assimilabili alla strutture decomposte degli stessi spazi urbani. Ogni tanto amava metterci qualche gatto, magari davanti a un portale di una chiesa. Nel centenario della nascita, il linguaggio figurativo e la personale interpretazione della spazialità e della prospettiva dell’artista li possiamo ritrovare nelle cento opere suddivise in otto sezioni, tra dipinti, disegni, collage, illustrazioni e fotografie, al Museo della Permanente di via Turati (fino al 10 gennaio 2010, chiuso il lunedì, info: 02-6599803), accompagnate da una completa biografia edita da Skira a cura di Maria Teresa Benedetti con testi di Benedetti, Strinati, Pontiggia, Liveri. La crescita artistica del pittore si compie in nome della poesia, essendo Gentilini strettamente legato a figure come Dino Campana, Giuseppe Ungaretti, Raffaele Carrieri, Biagio Marin, Stéphane Mallarmé, Pablo Neruda, Italo Calvino, Vittorio Sereni, Giorgio Baffo, Alfonso Gatto, Romeo Lucchese e Cesare Vivaldi. «La Basilica di San Pietro», «Il Ponte di San Carlo», «Suonatori e ambulanti davanti a Santa Maria Maggiore», tutti esemplari degli anni che vanno dal 1933 al 1952, mentre del ventennio che va dal 1953 al 1972 è doveroso citare «Banchetto», «Nature Morte, «Adamo ed Eva»; ma è dalla metà degli anni ’50 che le figure diventano bidimensionali e piene di effetti cromatici e ritmici.

«Amo il mio mestiere di pittore e perciò sono fedele alla mia vocazione. Dipingo da quando ero ragazzo e me la sento addosso come un vestito cucito sulla mia pelle. I miei temi finiscono per diventare variazioni del rapporto umano tra le cose e le creature». Parole di Gentilini.

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