La Rice all’Onu: uso della forza contro l’Iran

Ora anche Pechino è preoccupata degli sviluppi che sta assumendo il caso

Gian Micalessin

Adesso gli Stati Uniti non scherzano più. Forse le indiscrezioni che prevedevano attacchi con testate atomiche sui siti nucleari iraniani erano solo illazioni. Forse veramente, fino a ieri, la Casa Bianca pensava di poter risolvere la questione iraniana con la diplomazia. Di certo da oggi non lo pensa più. Ora il segretario di Stato Condoleezza Rice chiede al Consiglio di sicurezza un’azione decisa che comprenda l’uso di sanzioni contro l’Iran e preveda in caso di mancato adempimento anche l’uso della forza militare, come previsto dall’articolo 7 dell’Onu. «Quando il Consiglio si riunirà – ha detto ieri la Rice - dovranno esserci delle conseguenze per quelle azioni, e per quella sfida e noi stiamo considerando tutte le opzioni disponibili».
Certo, prima di approvare una risoluzione così dura la diplomazia americana dovrà riuscire a tirare dalla sua parte Cina e Russia. Ma anche le due grandi potenze detentrici del diritto di veto e grandi protettrici dell’Iran sembrano, dopo l’annuncio del riuscito arricchimento dell’uranio negli stabilimenti di Natanz, meno propense a utilizzare il loro veto. Il ministero degli Esteri di Pechino esprime preoccupazione per gli sviluppi del caso nucleare. E anche Mosca, pur ripetendo di non voler appoggiare misure punitive, sembra essersi riavvicinata all’Europa e agli Stati Uniti. I colloqui tra il direttore dell’Agenzia internazionale per l’anergia atomica (Aiea), Mohammed el Baradei, sbarcato a Teheran mercoledì notte, e le autorità iraniane sembrano intanto un dialogo tra sordi. «C’è ancora tempo, fermatevi, il momento è ancora propizio per il dialogo», ripete lui. «Ormai siamo una potenza nucleare, non discuteremo con nessuno i nostri diritti», gli risponde a muso duro il presidente Mahmoud Ahmadinejad facendo capire che il tempo dei negoziati è finito per sempre.
La strategia iraniana sembra dunque chiara. L’orgoglio e il vanto con cui è stato annunciato il successo del primo esperimento d’arricchimento dell’uranio realizzato lunedì nei laboratori di Natanz punta a mettere il mondo davanti al fatto compiuto. Il concetto più ripetuto a Teheran in queste ore è quello dell’indietro non si torna». «Se a qualcuno fa rabbia la nostra capacità di conseguire il pieno ciclo nucleare, noi gli rispondiamo di crepare pure di rabbia», proclama senza fare una piega il presidente Ahmadinejad. Del resto la Repubblica islamica, pur ripetendo tra lo scetticismo generale di voler utilizzare la tecnologia nucleare solo per scopi pacifici, non può ignorare l’esempio di due cattivi maestri come India e Pakistan. Arrivati nel silenzio assoluto alla sperimentazione dei loro primi ordigni atomici, i due grandi rivali del subcontinente indiano si conquistarono di fatto il diritto di sedere nel club nucleare. Teheran, pur essendo ancora assai lontana dal primo ordigno, tenta d’infilarsi nel club usando la scorciatoia dell’arricchimento. E le dichiarazioni del suo presidente sembrano una diretta conferma. «Adesso la situazione è cambiata completamente, ormai siano una Paese nucleare e ci rivolgiamo agli altri da questa nostra posizione».
In questo festival dell’orgoglio nucleare, El Baradei sembra il volontario di una missione suicida. Ma il direttore di un’agenzia dell’Onu non può esimersi neppure dal più impossibile dei negoziati, e quindi El Baradei ci prova. Nell’incontro con Alì Larijani, numero uno del Consiglio di sicurezza, capo negoziatore e uomo di fiducia della Suprema guida Alì Khamenei, il direttore dell’Aiea continuerà a chiedere all’Iran di riconquistare la fiducia della comunità internazionale sospendendo ogni attività collegata all’arricchimento dell’uranio. Probabilmente sarà fatica sprecata, ma El Baradei deve comunque portare a casa un rapporto sull’atteggiamento dell’Iran e presentarlo al Palazzo di Vetro entro il 28 aprile.

Quel giorno scadono i trenta giorni di tempo concessi a Teheran dal Consiglio di sicurezza per mettere fine a tutti gli esperimenti nucleari. Se tutto, come sembra, resterà immutato, il massimo organo dell’Onu dovrà riunirsi di nuovo e decidere la propria mossa. Una mossa che dopo l’appello della Rice potrebbe rivelarsi alquanto minacciosa.

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