IL RICORDO/ Quella volta che mi bocciò perché sembravo uno jettatore

IL RICORDO/ Quella volta che mi bocciò
perché sembravo uno jettatore

Faccio il giornalista da una vita, eppure Mike l'ho conosciuto soltanto da concorrente dei suoi quiz. La prima volta a Rischiatutto, era il 1971. Dicendo concorrente ho esagerato, in realtà, almeno in quel caso, ero un semplice aspirante al quiz. Insomma, partecipavo alle selezioni, che si svolgevano in non so più quale padiglione della Fiera di Milano. L'emozione, la mia intendo, però me la ricordo ancora. Anche se non sapevo che ci fosse proprio lui, Bongiorno in persona, a dirigere le audizioni. Invece era lì, vestito come un dandy inglese, giacca, cravatta e fazzoletto regolamentare nel taschino, neanche dovesse andare in onda nel giro di cinque minuti.

Noi candidati, quel giorno saremo stati una trentina, ci affrontavamo a tre per volta nelle classiche cabine trasparenti, più o meno le stesse dai tempi di Lascia o raddoppia? Mike, piantato in mezzo al grande studio, il microfono stretto in una mano, il malloppo di fogli con le domande nell'altra, era serissimo, coi quiz non ammetteva scherzi, nemmeno alle prove. Tanto da bacchettare un giovane esperto di storia americana che ridacchiava troppo.

Bene, a farla breve, io, che come materia portavo la storia recente del Milan, vinsi la mia manche sbagliando soltanto una risposta su dieci o dodici. Eppure non ero tra i promossi, mi comunicarono poco dopo. Dire che ci rimasi male non rende l'idea. Mike se n'era già andato, così chiesi timidamente spiegazioni a un suo assistente, che, con qualche imbarazzo, mi spiegò che per l'ammissione al gioco, più della competenza, contavano, in ordine sparso, simpatia, spigliatezza e fotogenia. Colpa mia, che, forsec ontagiato da Mike, avevo sparato le mie risposte con una faccia da fare invidia a uno iettatore.

Il tempo di rimarginare le ferite ed ecco una telefonata dalla Rai. A giorni sarebbe partito un nuovo quiz, radiofonico, chiamato Supercampionissimo: vuole partecipare? Sì, mitragliai, partendo per Napoli, dove si svolgeva la prima manche di questa bizzarra gara in quattro tappe, che si fermava a Firenze e a Bologna, prima di concludersi a Milano. Dove, dopo Loretta Goggi, Paolo Ferrari e non ricordo più chi, si cambiava presentatore ad ogni città, a condurre c'era lui, Mike. Che nella stessa sera, un paio d'ore più tardi era pronto ad andare in scena con il Rischiatutto. Insomma, tutte le settimane il giovedì pomeriggio Mike si faceva un quiz alla radio e la sera raddoppiava con un quiz in tv. Roba da sfiancare chiunque. Chiunque altro.

Io, pur migliorando, peggiorare era impossibile, rispetto allo sfortunato esordio, fui buttato fuori alla seconda tappa, quella fiorentina, incamerando però svariati gettoni d'oro, ma già che c'ero andai a vedermi, da concorrente trombato, la puntata finale di Milano. Con Bongiorno che dirigeva da par suo il gioco, senza perdere mai la pazienza, né inciampare nelle celebri papere. Aveva i basettoni lunghi e i pantaloni a zampa di elefante, come imponeva la ridicola moda di quei tempi e alla quale si è sempre adeguato, mantenendo però una sua indubbia eleganza, perfino sobria se si escludono certe giacche multicolori. Non poteva ricordarsi di me, con tutti i pretendenti ai milioni della Rai che gli passavano sotto il naso un giorno sì e l'altro pure, ma quando andai a salutarlo fece gentilmente finta di avermi bene in mente.

Passarono gli anni e Bongiorno lo sentii un paio di volte al telefono, finalmente da redattore degli Spettacoli, per altrettante interviste. Una, in particolare, lunghissima, all'inizio del 2004 per i cinquant'anni della televisione. Gentilissimo, come sempre, e puntiglioso nel rievocare nomi e date, per il timore di essere frainteso. Finché il destino, due anni fa, mi spinse ancora sulla sua strada. Che era poi la medesima di quarant'anni prima: il telequiz.

Stavolta non ero stato io a farmi avanti con la rituale richiesta, come per il Rischiatutto, bensì una collega, Laura Rio, che convocata dall'ufficio stampa di Mediaset, mi passò generosamente la palla. Il gioco si chiamava Il migliore, andava in onda su Rete4 il martedì, facendo scendere in lizza ad ogni puntata una diversa categoria professionale: architetti, medici, casalinghe, insegnanti, preti e così via. Io mi presentai tra i giornalisti della carta stampata. Una faticaccia: il programma, a eliminazione, tipo i Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, era diviso in cinque tranche.

Inoltre era registrato. Come dire che non finiva più: dalle due del pomeriggio alle nove di sera. Pensai che Mike, alla soglia degli ottantatré anni, se la sarebbe sbrigata più in fretta possibile. Macché. Si prendeva sì qualche pausa, durante lo spazio degli spot, immergendosi in una mastodontica poltrona,ma per il resto era più arzillo che mai. E guai a chi osava scherzare in trasmissione. Al terzo tentativo feci bingo ,diventando, almeno per un giorno, il Migliore.

Posata la coppa, strinsi con vigore la mano di Mike, che emise un sonoro lamento.

È l'età, mi dissi, chiedendogli scusa e lui mi mostrò la mano, attraversata da un profondo taglio. «Non è niente - ribatté - mi sono fatto male sciando». Non giocando a bocce come i pensionati della sua età. Sembrava una roccia.

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