Privilegiati i dipendenti, ma anche la compagnia in sé ha beneficiato di trattamenti di favore, compresi gli ultimi difficili anni. Da Mario Monti in poi, i governi hanno progressivamente agevolato lo scalo di Fiumicino, dove Etihad ha deciso di concentrare l'attività di «hub» di Alitalia, a scapito di Malpensa 2000, che aveva rappresentato il maggiore investimento pubblico aeronautico del secolo scorso nel nostro Paese. L'anno scorso il Parlamento europeo (su proposta della Commissione) ha erogato all'Italia 1,41 milioni di euro del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (Feg) per appena 184 ex lavoratori Alitalia. Il che equivale a circa 7.700 euro a testa per aiutarli a trovare un nuovo posto di lavoro: quei soldi servono per imparare a redigere il bilancio delle competenze, formazione, bonus mobilità, incentivi specifici.
L'Italia ha chiesto l'intervento del Feg dopo il licenziamento di oltre 1.200 lavoratori Alitalia, quasi tutti a Fiumicino. Lo stesso giorno in cui ha varato questi aiuti, il Parlamento europeo ha destinato 6,96 milioni di euro per 2.692 ex operai tedeschi della Opel (2.600 euro a testa) e 6,27 milioni per 4.500 ex dipendenti della Ford in Belgio (1.400 euro ciascuno). La sproporzione favorevole all'ex personale Alitalia rispetto alle due Case automobilistiche è tutta nel confronto di queste somme.
Ma ci vuole altro per rimettere in sesto la compagnia. Il mercato internazionale del trasporto aereo rimane difficile. L'azione dei «capitani coraggiosi» di fatto ha consegnato un intero settore economico sotto il controllo di capitali stranieri, con l'accordo di governo e sindacati. Ma la politica ha fatto la sua parte, trascurando di elaborare un piano nazionale dei trasporti aerei, comparto vitale in molti Paesi. I maggiori aeroporti nazionali si sono mossi in autonomia, favorendo l'arrivo delle low cost straniere. E Fiumicino, «hub» di Alitalia, non ha fatto eccezione.
Nemmeno la Brexit dovrebbe favorire la compagnia. Easyjet e British Airways hanno una forte presenza nei nostri cieli (Easyjet è il terzo vettore nella penisola) e se fossero dichiarate società extracomunitarie potrebbero perdere taluni diritti di volo. «Probabilmente ciò non avverrà e Alitalia non trarrà particolari vantaggi dalla Brexit - spiega Andrea Giuricin, docente all'università Milano Bicocca ed esperto di economia del trasporto aereo -. Anche compagnie di Paesi non Ue come Norvegia e Svizzera operano nel cielo europeo al pari dei Paesi comunitari e il Regno Unito potrebbe negoziare un trattamento analogo. British ed Easyjet hanno subìto forti contraccolpi dopo il referendum britannico, le incertezze non fanno bene a quelle compagnie, ma è prevedibile si tratti di una situazione temporanea».
Quale percorso dovrà dunque intraprendere Alitalia? Per Giuricin la strada è obbligata: «Dovrà fondersi con Air Berlin, che pure gravita nell'orbita di Etihad». La compagnia che ha base nella capitale tedesca è maggiore di Alitalia ma anch'essa perde parecchi soldi. Due debolezze unite possono rappresentare una forza? Risponde Giuricin: «Il fatto è che Etihad possiede il 49 per cento di Alitalia e circa il 30 di Air Berlin.
Se fondesse le due società potrebbe intervenire con una ricapitalizzazione per la quale al momento non c'è spazio. Nuovi capitali dagli emiri uniti alle razionalizzazioni delle economie di scala potrebbero dare un futuro ad Alitalia». A patto di abbattere gli ultimi privilegi.SFil
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