Il riscatto di Berlino

La ragionevolezza, il timore d'incorrere in eccessi d'enfasi retorica, ci inducono a moderare - in quest'ora d'entusiasmi - i toni trionfali. Sappiamo, senza il bisogno di ammonimenti virtuosi, che la vittoria nei mondiali del pallone è soprattutto un evento sportivo: e che per effetto di quella vittoria non diminuiranno i grandi problemi con cui il Paese deve confrontarsi. Restano, come prima, le incertezze politiche, i conflitti sociali, il disavanzo del bilancio pubblico, la corruzione, la criminalità organizzata. Resta anche - proprio nell'ambito calcistico - lo scandalo che ha investito alcuni dei club più blasonati. Non possiamo, non vogliamo farci illudere dall'esito d'una gara, anche se d'immensa risonanza popolare e mediatica.
Eppure... Eppure sentiamo tutti - inclusi gli allergici al tifo - che Berlino è un evento e non un episodio. Giusto o sbagliato che sia - penso che tutto sommato sia giusto - l'evento ci rassicura e ci rinfranca sulle qualità di questa nostra Italia - la grande, non la calcistica - che nei momenti di estrema difficoltà, nelle ore buie d'uno scoramento confinante con la disperazione, sa dare il meglio di se stessa. In questo senso la nazionale dei mondiali può essere vista come un esempio - settoriale e limitato fin che si vuole, ma importante - delle qualità nazionali. Proprio perché ha nel suo passato tante amarezze e nel suo futuro tante incognite preoccupanti, l'italiano comune - termine quest'ultimo che non vuole avere una connotazione spregiativa, anzi - vede in Berlino un auspicio, o se preferite un pronostico.
Si poteva immaginare una squadra che, impegnata nel torneo più prestigioso, soffrisse in partenza di maggiori handicap? L'universo del quale la squadra è la massima espressione appariva in decomposizione. Sotto accusa e screditati i vertici, messi in dubbio i trofei, coinvolti in una immane indagine dirigenti, arbitri, giocatori. I ragazzi prescelti per misurarsi contro le più forti nazionali avevano alle spalle il caos: e non pochi avevano e hanno davanti a loro un incerto futuro professionale. Patemi, si obbietterà, di ricchi e viziati. Sta di fatto che i ricchi e viziati hanno onorato la bandiera - sia detto con sobrietà, senza smancerie - perché hanno saputo sopportare o ignorare il fardello morale - o piuttosto immorale - di cui erano stati caricati.
Ci hanno regalato una ventata di dignità e di ottimismo. Dubito che questi ragazzi talentuosi sappiano molto di storia, e dunque non li impressioneranno certo i richiami a Caporetto, all'8 settembre, e al modo i cui un'Italia incorsa nei peggiori errori e misfatti seppe da quelle umiliazioni riscattarsi. Non vogliamo esagerare, il pallone è il pallone. Ma certe doti di fondo del Paese emergono quando e dove meno uno se lo aspetta. L'Italia ha vinto.


Oso sottolineare - anche se qualcuno magari m'attribuirà tentazioni razziste - che l'Italia ha sconfitto non la Francia ma una rappresentanza di quello che fu l'impero coloniale francese. Una entità geografica e politica imponente, memorabile e rispettabile. Ma la Francia, come l'intendiamo nei suoi valori storici e culturali, è anche altro, molto altro. L'Italia invece era l'Italia, punto e basta.

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