«Rischio razionamento dal no ai rigassificatori»

Angelo Allegri

da Milano

«A questo punto sono in gioco sicurezza e futuro dell’Italia. La via d’uscita alla crisi è il potenziamento delle infrastrutture, prima di tutto i rigassificatori; e non possiamo più permetterci di vederli bloccati dalle resistenze di questa o quella comunità locale. L’unica alternativa è drammatica: il razionamento». Alberto Clò, docente di economia industriale a Bologna e consigliere di amministrazione dell’Eni, è considerato uno dei maggiori esperti italiani in materia di energia.
Credevamo di aver risolto i problemi affiancando al petrolio il gas. E invece, proprio come ai tempi dello choc energetico degli anni 70, siamo piombati in una nuova crisi. Come mai?
«Le do un paio di cifre: nel 1995 consumavamo 55 miliardi di metri cubi di gas. Venti di questi erano di produzione interna. Nel 2005 il consumo era passato a 85 miliardi di metri cubi e la produzione italiana è scesa a 10, il 13% del totale. Potremmo produrre di più ma in molti casi lo sfruttamento dei giacimenti è bloccato dall’opposizione di comuni e province. Nel frattempo le infrastrutture di trasporto, i gasdotti, con l’eccezione di quello dell’Eni dalla Libia, sono rimasti esattamente gli stessi».
In più abbiamo una nuova forma di dipendenza. Dopo quella dai Paesi Opec, quella verso la Russia.
«Il problema è che i gasdotti creano per definizione una rigidità di mercato, dando un potere negoziale molto forte al fornitore. L’alternativa migliore, al di là della convenienza economica, è quella dei rigassificatori. I Paesi produttori liquefano il gas, lo trasportano con le navi metaniere e in loco si ritrasforma il gas per usarlo. In questo modo si compra il gas dove si vuole, dall’Algeria al Canada».
Sembra un buona idea. E allora il problema dov’è?
«Il problema è che i rigassificatori non si fanno. Ce n’è uno in funzione a Panigaglia, in Liguria, da 3,5 miliardi di metri cubi. E basta. Nel 1998 l’Enel provò a costruirne un altro a Montalto di Castro, ma poi rinunciò, disse, per l’opposizione degli abitanti. A Brindisi British Gas sembrava ben avviata. Ma è bastato che cambiassero gli equilibri politici in regione per far tornare la questione in alto mare. L’unico che partirà, nel 2008, è quello di Edison su una piattaforma nell’Adriatico davanti a Rovigo. Il risultato di una situazione del genere era del tutto prevedibile».
E cioè?
«È bastata una situazione anomala come quella che si è creata a novembre, ancora prima del crisi Ucraina, per mandare il sistema in tilt. I produttori di energia hanno iniziato a trovar conveniente esportare kilowattora all’estero dove i prezzi sono saliti, attingendo più profondamente alle scorte. Poi c’è stato Putin, che ha pensato bene di usare il metano come arma proprio nel momento invernale, quello di picco dei consumi. Infine è arrivato il freddo e le scorte hanno iniziato ad assottigliarsi, anche se in che misura non è ancora chiaro».


E quindi come se ne esce?
«Provvedimenti di emergenza a parte la strada è una sola: sulla carta ci sono una dozzina di progetti di rigassificatori. Bisogna intervenire di autorità e farli partire. Prendendo esempio dalla Francia, che oltre al nucleare ha i rigassificatori. Altrimenti la crisi diventerà la norma».

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