«Rischio tangenti quando c’è collateralismo finanza-politica»

Lanfranco Turci, deputato Ds ed ex presidente della Legacoop: «Non avrei fatto la scalata a Bnl. Consorte non doveva avere il conto da Fiorani»

Luca Telese

da Roma

Se nei Ds c’è uno che conosce le dinaniche che regolano la galassia delle cooperative, quello è lui. E ieri Lanfranco Turci, deputato dei Ds, dirigente di primo piano della Quercia ed ex presidente della Legacoop, era nettissimo nel giudizio sulla vicenda Unipol: «Non entro nei dettagli dell’inchiesta e non ne ho bisogno. Anche se in queste operazioni i magistrati non ravvisassero nessuna fattispecie di reato, trovo che sia stato sbagliato e inappropriato, da parte di un manager delle Coop aprire dei conti correnti con banche che avevano già allora dubbia fama, e con cui l’Unipol era in rapporti eeconomici». Il manager ovviamente è Giovanni Consorte. E le parole di Turci, meditate e pesate una ad una, non prescindono mai, nemmeno per un momento, da una difesa a tratti appassionata, delle Coop.
Onorevole Turci, la parola chiave di questi giorni è «collateralismo» tra Coop e partito. E’ giusto o sbagliato?
«Nei termini in cui io l’ho sempre inteso no. Un rapporto di vicinanza e amicizia fra i Ds e le cooperative è un portato storico innegabile. Metterlo in discussione sarebbe rinnegare le proprie origini, la storia del movimento cooperativo comunista, socialista, e anche cattolico-democratico. Però, fatta questa premessa...».
Cosa?
«Bisogna distinguere la vicinanza ideale dal collateralismo sui sui singoli business economici, che non solo non è dovuto, ma talvolta nemmeno opportuno».
Ad esempio in questa vicenda dell’Opa sulla Bnl.
«Allora, anche qui una premessa: era giusto e necessario ricordare che le Coop non sono figlie di un Dio minore. Che hanno il diritto di fare operazioni di finanza al pari di ogni altro».
Nessuno lo mette discussione.
«Non è vero: io non mi scordo il Montezemolo che diceva in modo sprezzante: dovrebbero occuparsi di pelati».
Allora quali sono i suoi dubbi?
«La praticabilità e l’opportunità della scalata alla Bnl».
Ma lei cosa pensò quando seppe dell’operazione?
«La verità? Spero che abbiano fatto bene in conti e misurato il passo».
L’avrebbe fatta?
«Io? Penso di no. Ma non ho abbastanza elementi per giudicare».
Lei avrebbe stretto rapporti con quei «compagni di viaggio», da Fiorani a Ricucci?
«La domanda me la sono fatta: devo dire che non considero ammirabile la compagnia dei cosiddetti “furbetti del quartierino”. E lo dico, attenzione, ben sapendo che nel mondo della finanza anche fuori da quel giro, ci sono fior di mascalzoni».
Cosa avevano in mente Consorte, e il suo management?
«Rafforzarsi e crescere, credo. Attenzione: Consorte è un manager molto, molto stimato. Altrimenti le grandi cooperative non lo avrebbero certo sostenuto».
Lo conosce bene: è un duro?
«Detto così suona un po’da film western. Era molto determinato, questo sì: quando c’ero io era già il numero due».
Che rapporti c’erano fra voi?
«Normali. Ma l’Unipol era molto gelosa della sua autonomia. Ricordo quel che ci voleva per metterli intorno a un tavolo quando chiedevamo di essere informati. Come dire? sia lui che il numero uno dell’epoca, Cinzio Zambelli, andavano per la loro strada».
Il nodo che lei ritiene più delicato è l’apertura del conto corrente nella banca di Fiorani?
«Ad esser sinceri sì. Io sono l’ultima persona che rimpiange il pauperismo. Ma è indubbio che con quel gesto, e con quell’entità di capitali, Consorte ha messo a rischio l’immagine della sua organizzazione».
Non teme l’accusa di moralismo?
«Sono l’ultima persona che rimpiange l’uscita dall’egualitarismo ottocentesco: ma fra questo e ottenere in prestito, a quanto pare senza garanzie, 4 milioni di euro da persone con cui le Coop fanno affari, c’è un abisso».
Per l’entità della cifra?
«Certo. E’ una cifra molto alta anche per manager come i nostri, che giustamente sono molto ben retribuiti. Certo a me quattro milioni di euro non me li darebbe nessuno!».
Quindi questo giudizio prescinde dal fatto che siano provate o meno eventuali illegalità?
«L’emergere di questi conti getta un’ombra su un’impresa che era già molto tirata. A maggior ragione dovevano stare attenti».
Un manager delle Coop deve essere come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto?
«Penso di sì, e non scherzo. Alla nostra gente, anche dirigenti che sono ben avvezzi a trattare il denaro, questi comportamenti non piacciono».
Che ricordo ha di Consorte e Sacchetti?
«Sono un duo molto stimato».
Li conosce abbastanza da mettere la mano sul fuoco per loro?
«Non ho motivi di dubitare della loro onestà: il loro affiatamento è perfetto, le loro capacità indubbie. Ma quel che hanno fatto non è... elegante per un manager delle Coop».
E i contatti che sono emersi con Fassino erano normali?
«Per i motivi che ho già detto sì, lo ha spiegato anche Piero».
Sentirsi tre volte in un giorno durante una scalata?
«Posso dirglielo con certezza: questa Opa non nasce al Botteghino, ma a via Stalingrado. Però guardi, il problema della vicinanza fra finanza e politica non riguarda certo solo i Ds e l’Unipol».


Però questo rapporto crea problemi?
«Sì perchè se i comportamenti dei manager non sono irreprensibili si crea questo paradosso: che quando va bene il rischio che si crea è un’accusa di collateralismo, e quando va male diventa di tangenti».

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