Rispunta l’asse Lega-Pdl: prove d’intesa sulle riforme

RomaRiforme, profumo d’intesa Pdl-Lega. Sulla carta lo scambio sarebbe il seguente: tu (Pdl) dai a me (Lega) il Senato federale. Io (Lega) do a te (Pdl) il semipresidenzialismo. Affare fatto? Ni. Dal Carroccio frenano: «Non c’è alcun accordo». E Roberto Maroni sulla sua pagina Facebook scrive: «Ho letto che se passa il Senato federale il Pd per ripicca vota contro la riforma (che riduce anche il numero dei deputati) dando poi la colpa alla Lega. Meglio allora lasciar perdere e puntare solo sulla riduzione dei parlamentari, che però deve essere consistente». Poi qualche leghista ammette a mezza bocca che uno dei nodi riguarda la legge elettorale, in fase di cambiamento. Qualora - secondo il punto di vista del Carroccio - Pdl e Pdl dovessero fare l’inciucio e convergere sui collegi uninominali a doppio turno, per la Lega sarebbe un guaio. Sarebbe infatti preclusa l’opzione di andare da soli alle elezioni perché costretti a fare accordi elettorali per non sparire. Ma la trattativa è in corso.
Di fatto, ieri in Senato si è rivista una convergenza tra la vecchia maggioranza di governo. Il presidente dei senatori leghisti, Federico Bricolo, ha infatti chiesto di passare subito ai voti sul Senato federale. E il vicecapo dei senatori azzurri, Gaetano Quagliariello ha acconsentito. La sinistra s’è scatenata: «Ecco la prova del baratto, semipresidenzialismo in cambio del Senato federale», ha denunciato il piddino Zanda. Mentre la capogruppo piddina, Anna Finocchiaro, ha gridato allo scandalo: «Per ragioni di bottega, Pdl e Lega impediscono il taglio dei parlamentari». Secca la risposta dei pidiellini Gasparri e Quagliariello: «Chi costruisce polemiche politiche come panna montata è evidentemente alla canna del gas». Una lettura strumentale per il presidente di Palazzo Madama, Renato Schifani, che ha spiegato: «Non vi è dubbio che prima o poi l’Aula sarà chiamata a votare sul numero dei parlamentari».
In ogni caso ieri sulle riforme istituzionali è risorta la vecchia maggioranza berlusconiana. Il Senato dovrebbe diventare federale, senza tuttavia trasformarsi in una sorta di Bundesrat. Eletto su base regionale, e con una specializzazione in materia concorrente, continuerà ad essere legato al rapporto di fiducia con l’esecutivo e dirà la sua su materie di «interesse degli enti territoriali». Nella proposta leghista, i senatori saranno 250. Il sì pidiellino prefigura quindi un sì leghista al semipresidenzialismo, tanto caro agli azzurri.
Ma attenzione. I giochi non sono fatti. Primo problema: la maggioranza c’è ma non raggiunge i 2/3, per la contrarietà di Pd, Udc e Idv. Ergo ci dovrebbe essere un referendum confermativo. E poi i tempi: occorre una doppia lettura a distanza di tre mesi da parte di entrambe le Camere. Per arrivare in fondo occorrerebbe che sia a palazzo Madama sia a Montecitorio, la riforma venga votata entro luglio. Poi tre mesi di sosta, secondo voto entro novembre/dicembre e referendum prima di aprile 2013. Sempre che il governo non caschi prima. Insomma, un tour de force durante il quale le cose potrebbero cambiare. Ed ecco il timore del Carroccio: che il Pd e il Pdl trovino un’intesa sulla legge elettorale (che sta a cuore a Bersani) a doppio turno. Fumo negli occhi per la Lega.

La quale potrebbe proporre soltanto una sorta di desistenza con il Pdl: «Noi vi votiamo i vostri per i deputati a Roma ma voi ci votate i nostri negli enti locali: comuni e Regioni». Ma la trattativa è lunga e difficile anche perché, si sfoga un leghista: «Con chi dobbiamo parlare? Con Alfano? Con Schifani? Con Berlusconi?».

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