Rita ammazzata dallo spasimante respinto

Rita ammazzata dallo spasimante respinto

In questo mondo senza frontiere, non c’è nemmeno bisogno di parlare. «Abbiamo preso l’assassino di tua cugina». Basta un’email, spedita da un poliziotto- anzi il superpoliziotto, come per definizione a New York è il detective William Orange- per saper se piangere ancora o provare a consolar le lacrime, almeno per un attimo, con un singulto di gioia.
Sette giorni, esattamente la settimana dopo il Thanksgiving Day, l’uomo che ha ucciso Rita Morelli, l’italiana partita dall’Abruzzo inseguendo un sogno americano, è in manette.
Guardia giurata, origini del Gambia, 41 anni, una vita senza troppi orizzonti nel Bronx, dividendo la casa con una coppia di connazionali di mezza età. Sembra fosse innamorato di Rita. Sempre gentile ma onnipresente Bakary Camara. Ossessivo. L’aveva notata nel ristorante Buon Gusto dove la donna, 36 anni, lavorava per pagarsi gli studi. Lei amava l’arte, tra qualche mese si sarebbe laureata in materie letterarie. Aveva un fidanzato, un ragazzo arrivato dal Messico con cui lavorava nello stesso locale. Ma soprattutto, Rita, aveva tanti sogni. E un futuro. Tre coltellate, sferrate da quell’uomo sempre gentile ma troppo insistente hanno spento la luce. L’aveva aspettata sotto casa per almeno quaranta minuti quella sera, al 205 della East Harlem, 119esima strada. Si erano messi a chiacchierare, lei aspettava l’arrivo del fidanzato, lui in qualche modo l’ha convinta a farlo salire nel suo appartamentino al terzo piano. Faceva freddo. Lì, secondo la prima ricostuzione della polizia, il raptus omicida. L’uomo ci prova, Rita lo respinge. L’afferra alla gola, la pugnala. Poi la messinscena. Ruba il computer, qualche dollaro dal portafoglio e fugge.
La rapina di un balordo? Nessuno ci crede. Un vicino aveva notato Camara sotto casa. Perdipiù l’assassino ha commesso due errori. Primo non distruggere il cellulare della vittima (nella rubrica c’era il suo numero); secondo, appena rientrato verso la sua abitazione ha telefonato al pronto intervento segnalando la presenza di un cadavere ad Harlem. Forse voleva liberarsi la coscienza. Essere catturato. la sua parlata americana con accento francese lo ha tradito. Nel giro di un paio di giorni gli investigatori lo avevano già individuato, rilevato le impronte, confrontando la voce. Era stato lui a chiamare il «911». Quando la polizia ha fatto irruzione nel suo appartamento Camara si è barricato in una stanza, si è conficcato un coltello in pancia. In tasca aveva un biglietto in cui spiegava il perché. «Ha confessato l’omicidio di Rita», spiegano i detective. Voleva morire. Adesso è ricoverato in gravi condizioni. Per i sui vicini, in uno spaventoso dejavù di cortese indifferenza, era un tipo tranquillo: «Non parlava mai con nessuno». Magari da noi, sull’altra sponda dell’Oceano, avremmo pensato diversamente.

Qualcuno lo aveva addirittura filmato una volta. Perché? Non gettava la spazzatura nel posto giusto.
Oggi il feretro di Rita tornerà a casa, domani le esequie. Un paese di 15mila persone, Spoltore, l’attende. Piangendo un sogno.

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