Il ritorno della politica forte ha sconfitto gli speculatori

Qualcuno potrebbe leggere l’improvviso balzo delle Borse di ieri, con tra le prime Piazza Affari, come vittoria della politica sui mercati. In realtà si tratta di risposte sempre sufficientemente razionali dei mercati stessi: ieri a una politica debole, oggi a una politica che si assume responsabilità. Di fronte a una dura crisi come quella greca, i tedeschi si sono fatti paralizzare dal voto nel Land Nord Reno-Westfalia decisivo per la maggioranza in Senato, mentre gli inglesi sono finiti «appesi» a elezioni che non hanno dato un risultato certo. Come negli Stati Uniti successe alla vigilia di presidenziali contese (così avvenne al passaggio tra George Bush senior e Bill Clinton, e poi con quello tra George Bush junior e Barack Obama) similmente gli speculatori finanziari, dal nome infamante ma dalle funzioni articolate, vista l’Europa tremebonda per le paure di Angela Merkel e le incertezze dei Cameron e dei Brown, hanno affondato il colpo.
Naturalmente gli intrecci di interessi tra società di rating e hedge fund, il dominio delle grandi banche d’affari sull’economia globale (e spesso sui parlamenti americani) non hanno aiutato e hanno introdotto distorsioni da correggere nelle operazioni finanziarie. Ma il centro della tempesta è stato determinato non da particolari deviazioni bensì dalle condizioni generali in cui si operava. Il ritorno della politica è stato dunque provvidenziale non perché è intervenuto sul funzionamento dei meccanismi economici ma sulle condizioni in cui si applicano. Non esistono mercati senza fiducia: e la fiducia è materia complessa fatta di credibilità nelle istituzioni, di trasparenza e razionalità delle scelte di cornice, di prontezza e saldezza nelle decisioni. L’Occidente, dall’Europa agli Stati Uniti, ha anche il problema di mettere un po’ d’ordine nel suo sistema bancario, che concentra poteri troppo autoreferenziali e svincolati dalle logiche di un mercato efficace, ma il primo problema è quello di garantire processi di decisione politica che non forniscano spazi alle speculazioni che in questo senso, alla fine, non hanno che la funzione di termometri misuratori dell’inefficienza sistemica. Che insegnamenti dobbiamo trarre dalla passata settimana nera? Che vicende come quelle della Grecia non possono essere trattate solo con le pure categorie della contabilità. È dal 1400 che intorno a Grecia e Balcani iniziano tutte le catastrofi continentali (dalla caduta di Costantinopoli a Sarajevo). Buttare un cerino in quei luoghi è volersi del male. Sarà stata affrettata l’adesione di Atene all’euro, ma non lasciarla esplodere era problema vitale e i mercati lo sapevano. La brava Merkel deve avere capito che rimandare le decisioni non serve a vincere le elezioni: i cittadini non sono stupidi. Gli inglesi si sono aggiunti al club di quelli che non ne possono più dei vari «centrini» che vogliono fare gli aghi della bilancia e rendono i sistemi ingovernabili.

Gli europei si sono resi conto che la retorica alla Prodi non risolve i problemi e per affrontarli ci vogliono leadership come quella, oggi apparsa assai incisiva, dimostrata dal duo Berlusconi & Tremonti non solo per la propria bravura ma perché resistendo al continuo lavoro di destabilizzazione ora di magistrati ora di nomenklature della prima Repubblica (nonché della Repubblica in sé) ha formato un blocco sociale prima che politico che regge alle crisi tipo quella della scorsa settimana e dà una base per decidere. Come richiesto dai mercati.

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