Ritrovato il «romanzo dell’immondizia» di Pasolini

Un documentario di Mimmo Calopresti sul film fantasma che il poeta-regista girò sui netturbini romani nel 1970

Vedi com’era Pier Paolo Pasolini, dopo trent’anni tutto quello di cui si è occupato diventa importante e attuale, ogni fotogramma girato è una pista, e alla sua fine c’è sempre un’idea. Ad esempio questa. Molto prosaica: l’immondezza. Nell’aprile 1970, Pier Paolo decide di girare un film sullo sciopero dei netturbini romani, sul loro lavoro, sulla loro condizione. L’immondezza, i rifiuti, sembrano a Pasolini l’ennesimo simbolo del passaggio dal paleo-capitalismo al neo-capitalismo, la sua cinepresa si cala con occhio neorealista in un mondo, scopre un universo incredibile, s’appassiona subito alla causa dei netturbini romani, con le loro facce povere e oneste, scrive: «Si assomigliano tutti, come dei frati». Dentro la loro storia trovi subito il segno della Roma che cambia, il boom dei consumi è anche boom di rifiuti, ma nei depositi dell’Ostiense si lavora con la pala e la scopa di saggina, il sacco di iuta e il bidone di metallo. Bene, per trent’anni queste immagini scompaiono, considerate solo una goccia nella produzione del poeta. Dimenticate, smarrite, ricordate solo dalle filmografie dei francesi e degli svedesi (gente pignola), non dagli italiani.
Succede però che il regista Mimmo Calopresti, leggendo di questo film «fantasma» s’incuriosisca, e vada a scavare in quella miniera d’oro che è l’archivio audiovisivo del Movimento Operaio. Il film salta fuori. O almeno un girato di settanta minuti, i piani sequenza del lavoro durissimo, carrellate fantastiche di facce e assemblee che appartengono a un tempo scomparso, oratorie sgrammaticate e appassionate. E poi uno splendido frammento di poesia: gli Appunti per un romanzo sull’immondizia, versi scritti in occasione dello sciopero dell’aprile 1970. Considerati spesso dei paria, disprezzati per il loro odore e la loro condizione, i netturbini, agli occhi di Pasolini diventano un simbolo angelico: «Al sole o al brutto tempo lo scopino spigne il carrettino/ con sopra il bidone, e lo scopone in mano, cercando». La visione neorealistica, il bianco e nero, la facce di barba lunga improvvisamente si trasfigurano: «È giorno di sciopero! l’ordine degli scopini/ è entrato nella storia». Fino alla chiusura quasi lirica: «Ciò che resta intatta è l’umiltà/ Perché chi ebbe una vocazione vera non conosce la violenza: e parla con grazia/ anche dei propri diritti».
Bello, bellissimo, ma cosa fare di questo materiale, per di più muto? L’idea di Calopresti è bellissima, film nel film (presentato ieri all’Auditorium di Roma, andrà a Berlino). Il regista bussa alla porta dell’Ama, il successore tecnologico della vecchia municipalizzata degli scopini e si fa produrre un documentario (il presidente Massimo Tabacchiera aderisce entusiasta) in cui compone le vecchie immagini del 1970 a nuove testimonianze di oggi.

Ecco lo scopino che accompagnò Pasolini, raccontare con i capelli bianchi la vita di allora, i giorni passati con il regista, il cambiamento di un’intera città, e a ben vedere di un tempo. Vedi com’è Pasolini, se segui il suo sguardo da una vecchia saggina a un cassonetto, finisci per capire che dentro «il romanzo dell’immondezza» si nasconde un passaggio di epoca.

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