Un accoltellamento, a morte, tra due uomini la notte tra il 18 e il 19 maggio in un centro di accoglienza per immigrati a Ris-Orangis (Essonne), è stato uno degli ultimi episodi di violenza registrati nelle settimane di quarantena francese. Contemporaneamente, in tutt'altra parte del Paese, a Argenteuil, a nord di Parigi, la stessa notte sei persone venivano arrestate. Dopo due giorni in cui tutta la città veniva messa a ferro e fuoco - letteralmente -, in seguito alla morte di un giovane di una gang di motociclisti. In uno dei tanti rodei di bande di immigrati, che fanno le ronde in tutta la Francia, un ragazzo, senza casco, inseguito dalla polizia finiva contro un palo della luce. Le indagini sono ancora in corso, ma è bastato quel cadavere perché si incendiassero auto, cassonetti dei rifiuti, agenti delle forze dell'ordine venissero colpiti da proiettili e poi lanci di lacrimogeni e fuochi d'artificio. Tre giorni di subbuglio e cittadini ancor più costretti a non uscire per la rivolta degli immigrati.
La quarantena francese per il coronavirus ha dimostrato quanto il re sia nudo. Vittima dell'islamizzazione imperante e delle gang islamiche che hanno sottratto alla Repubblica intere zone per cederle all'autogoverno della sharia.
A Le Havre, a Évreux (dove è altissima la percentuale di convertiti all'islam), a Bordeaux, a Villiers-sur-Marne, a Mantes-la-Jolie, a Chanteloup-les-Vignes, a Villeneuve-la-Garenne, a La Courneuve, a Trappes, a Grigny - tutte zone fortemente islamizzate, con tantissime moschee e scuole islamiche - gli episodi di violenza urbana sono diventati quotidiani durante il confinement alla francese. Là la polizia si è domandata ogni giorno come contenere aree che in tempi «normali» creano problemi e di cui sono ostaggio. Anche perché in realtà gli ordini dall'alto sono stati piuttosto chiari, come rivela un poliziotto. «Ci viene chiesto di discernere caso per caso e di lasciare il posto molto velocemente per evitare le rivolte». Già a marzo, all'inizio del lockdown, erano scoppiati incidenti in tutta la Francia: furti, vandalismo e violenza urbana nelle cosiddette «aree sensibili». Poi le cose hanno iniziato a farsi più violente.
Sabato 18 aprile, sono le 23. Siamo a Villeneuve-la-Garenne, una cittadina nella periferia nord di Parigi. Un giovane guida una moto ad alta velocità e colpisce la portiera di un'auto della polizia. Si rompe una gamba. Viene portato in ospedale. Non ha la patente di guida, ma ha una lunga storia criminale. È stato condannato più volte dai tribunali per traffico di droga, rapina e violenza sessuale. Appena la notizie dell'incidente si diffonde, sui social media si moltiplicano i messaggi ostili sulla polizia. E in una dozzina di città scoppiano rivolte: tutte per condannare la ferita che l'auto della polizia ha provocato al motociclista. Le rivolte continuano per cinque giorni consecutivi. Una stazione di polizia a Strasburgo viene attaccata e incendiata, una scuola viene quasi distrutta a pochi chilometri da Villeneuve-la-Garenne. La cronaca è stata ben attenta a non denunciare la provenienza dell'imputato con precedenti. Da lì in poi le cose andranno sempre peggio. Le città dell'Île-de-France, e non solo, saranno sempre più preda di una spirale di violenza che nessuno riesce a gestire. Dozzine di container incendiati, la polizia bersaglio di bombe molotov. A Nanterre e Asnières-sur-Seine, viene distrutto un autobus e i veicoli lungo la strada vengono incendiati. Nel distretto di Luth di Gennevilliers, un'auto della polizia anticrimine viene fatta saltare in aria con dei fuochi d'artificio. Poco più in là è una scuola elementare che viene semidistrutta.
Con una «lettera allo Stato», l'Alliance (il sindacato della polizia francese) a fine aprile avvertiva: «È giunto il momento che lo Stato recuperi tutti i territori persi dalla Repubblica. A oggi, l'unico segnale in termini di decisioni giudiziarie è stato il rilascio di migliaia di trasgressori per alleviare la congestione nell'ambiente carcerario. Li troveremo domani nel mezzo di disordini reali, se la situazione peggiorerà?».
E nel frattempo non sono mancati neanche attentati e aggressioni al grido «Allah Akbar». Un sabato mattina di inizio aprile è andato in scena il consueto attacco da coltello della nuova Europa. Un uomo ha colpito mortalmente due persone e ne ha pugnalate altre sei, ricoverate in condizioni gravi, nel centro di Romans-sur-Isère, a sud di Lione. È un rifugiato 33enne che ha compiuto l'attacco, secondo l'antiterrorismo: l'ennesimo lupo solitario.
Una manciata di giorni dopo l'ennesimo attentato in piena regola aveva ancora come vittima la polizia. A Colombes (Hauts-de-Seine), Youssef T. è stato arrestato per «tentato omicidio contro un'autorità pubblica in relazione a un'impresa terroristica», ha annunciato la procura antiterrorismo. Il 29enne, che per la Procura è animato da un'ideologia anti-occidentale e ha giurato fedeltà all'Isis, ha tentato di falciare alla guida della sua Bmw due poliziotti in moto mentre eseguivano un controllo. Secondo la Procura nazionale antiterrorismo (Pnat) il terrorista ha spiegato espressamente di volere «perpetrare la battaglia per imporre la sharia su tutta la Terra».
Secondo l'esperto di sicurezza nazionale, Éric Delbecque,
l'islam radicale ha sfruttato questo periodo di confinement per esasperare i messaggi dei rivoltosi e le proteste. D'altronde, ribellarsi alla polizia che vorrebbe dettare legge nei loro territori è ormai una parola d'ordine.
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