È una Roma capoccia anche nell’editoria

È una Roma capoccia anche nell’editoria

Il rimpianto Alfredo Cattabiani, ai giovani che gli chiedevano consigli sulle scelte editoriali, rispondeva con una battuta: «In Italia puoi pubblicare con Mondadori oppure con Mondadori». Lo studioso di simboli e tradizioni amava molto il passato di Roma ma non il presente dell’editoria romana, che considerava poco affidabile. Non era un’idea soltanto sua. Correvano gli anni Novanta e al centro dell’attenzione c’era la Castelvecchi e il suo omonimo, luciferino fondatore, che nell’ambiente destava grande ammirazione sia per la capacità di scovare testi eccentrici sia per quella di schivare i creditori. Sempre nello stesso periodo, tanto per buttarla sul personale, chi scrive riuscì a farsi pagare da un altro editore solo grazie ad avvocati e ufficiali giudiziari. Tutti episodi che autorizzavano l’accumularsi di pregiudizi.
Ma le cose cambiano, e per fortuna non sempre in peggio. La Roma editora ha cominciato se non proprio a pagare (gli anticipi Mondadori restano irraggiungibili), quanto meno a paghicchiare. E all’interno del raccordo anulare c’è qualcuno che di lavoro editoriale riesce a campare, incredibile ma vero. Nicola Lagioia, il giovane letterato romano per eccellenza, giura di venire regolarmente pagato, sia da Minimum Fax sia da Fazi (nel frattempo arricchitasi grazie all’enorme successo di Melissa P.). Se ha raccontato una bugia, che gli si allunghi il naso: non si scherza su queste cose, non si illudono così gli esordienti di provincia. Ma probabilmente è vero, altrimenti non insisterebbe a cantarci le lodi di quel mondo: «Sono anni che Roma è più di una semplice alternativa a ciò che accade tra Milano e Torino. Niccolò Ammaniti, Luther Blissett, Wu Ming, Massimo Carlotto, Elena Ferrante, Tommaso Pincio, Valeria Parrella, sono solo alcuni degli autori usciti dalle case editrici della capitale».
Bella forza, i nomi citati provengono dal vivaio locale, all’inizio non erano nessuno e per pubblicare non avevano altra scelta che farlo a Roma. È molto più significativo il caso degli autori che si sono affermati a Milano e che a un certo punto decidono di pubblicare col lanciatissimo Fazi (Isabella Santacroce e Valerio Magrelli) o con un Fanucci in riposizionamento espansivo (Antonio Moresco e Tiziano Scarpa) o con una cooperativa di scrittori di lusso come la Fandango (Eraldo Affinati e Alessandro Baricco) oppure, ancora, con una raffinatissima sala da tè editoriale quale Nottetempo (Patrizia Cavalli, Gianni Celati, Toni Negri). Per qualcuno si tratta solo di una parentesi, ad esempio per Affinati che con il prossimo romanzo tornerà da mamma Mondadori. «Il mio Compagni segreti. Storie di viaggi, bombe e scrittori raccoglie i reportage sui luoghi della seconda guerra mondiale che ho scritto per il Giornale. È il tipico libro che un grande editore non può fare. Ci vuole un editore più piccolo, meno legato alle logiche industriali, un editore romano», dice Affinati.
Teorico di Roma come parentesi è anche Andrea Di Consoli della Avagliano: «Nel mio piccolissimo ho avuto la soddisfazione di strappare Cosimo Argentina a Sironi però la regola è un’altra: qui a Roma gli autori portano i libri minori, i lavori collaterali. Ho pubblicato Furio Colombo e Oliviero Beha ma in entrambi i casi non erano titoli scritti appositamente per noi». Valerio Magrelli aggiusta e alza il tiro, nella sua visione l’editoria romana non è subordinata a quella milanese-torinese, non è destinata a raccogliere esclusivamente le briciole. Il poeta ha individuato uno specifico: «A Roma c’è una maggiore attenzione agli strumenti multimediali. Con Einaudi continuo a fare i libri veri e proprio mentre con Fazi faccio i dvd e con Luca Sossella i cd. Sono supporti a cui io non avrei mai nemmeno pensato, senza lo stimolo e il supporto di questa committenza».
La Luca Sossella Editore con i suoi cd che fondono teatro e letteratura (ad esempio Pellegrino Artusi ed Emilio Salgari letti da Massimo Popolizio all’Auditorium), è uno dei cento casi della nuova editoria romana, con una storia più emblematica di altre: fondata a Bologna si è trasferita nella capitale nel 2000, proprio per approfittare del nuovo clima che si stava creando. Roma attrae non solo autori ma anche editori, quindi. È come se da qualche parte, tra Campo de’ Fiori e il quartiere Trieste, avessero piantato un magnete seduttivo con lo scopo di neutralizzare una gloriosa antologia di pregiudizi. Da Erasmo a Casanova, da Comisso a Flaiano, per secoli questa città è stata percepita dalla maggioranza degli spiriti sensibili come incompatibile con la letteratura, o per lo meno con una letteratura sana, non cortigiana. Carducci stroncò il primo D’Annunzio proprio perché troppo romano (romano in senso contemporaneo e non in senso classico, ovvio).
Oggi che pubblicare con Fazi o Fandango comincia a far gola a molti, le voci ostili o anche solo diffidenti si sono rarefatte. Una di queste è Camilla Baresani: «Preferisco pubblicare a Milano non solo perché ci abito e mi è più comodo. Per me conta la durata nel tempo del marchio. Se posso, evito di avere un editore che fra cinque anni mi rischia di andare a gambe all’aria». Gian Arturo Ferrari, il gran capo Mondadori, quando gli si chiede se la crescita dell’editoria romana lo intimorisce scoppia in una risata omerica. Invita a distinguere nettamente l’editoria industriale (Milano) da quella artigianale (Roma). «I grandi gruppi, noi, Rizzoli, la Gems cioè Longanesi Garzanti e Guanda, vanno tutti molto bene, stanno facendo un sacco di soldi».
Accidenti, che abbia ancora ragione Cattabiani? Che anche nel 2006 sia meglio pubblicare col megaeditore danaroso dall’anticipo facile? Secondo Lagioia più del denaro immediato conta l’essere sostenuti da qualcuno che creda davvero in te: «In certi casi 5mila copie vendute da Fazi, Fanucci, Minimum Fax pesano il doppio delle 10mila copie scaraventate in libreria da Mondadori o Rizzoli». E qui veniamo all’idea delle case editrici romane come botteghe artigiane dove stabilire prima di tutto rapporti umani. Massimiliano Governi, il principale artefice del nuovo corso Fazi, dice che con certi autori arriva a scambiare sei e-mail al giorno.

Impossibile avere un editor così compartecipe in una grande sigla, dove tutti hanno troppe cose da fare. A Roma i pomeriggi scorrono lenti e Governi può trovare il tempo di scegliere la copertina, di scrivere la scheda, di correggere, consigliare, incoraggiare. Isabella Santacroce l’ha conquistata così.

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