"Non morirò da abusiva". A 95 anni umiliata dal Campidoglio

La battaglia di nonna Lea, classe 1926, che si è vista recapitare dal Comune di Roma una "diffida al rilascio per occupazione senza titolo" dell’alloggio in cui abita da più di cinquant’anni

"Non morirò da abusiva". A 95 anni umiliata dal Campidoglio

Lea Carlini ha 95 anni e una vita scandita dalla perdita degli affetti alle spalle. La mamma l’ha lasciata quando aveva appena quattro mesi, il papà ad undici anni, il marito Umberto, ex vigile urbano, è venuto a mancare vent’anni fa e nel 2009 ha perso anche il figlio Leonello. I volti delle persone care sono incorniciati nelle tante fotografie, alcune scattate proprio da lei, che custodisce gelosamente nel suo appartamentino del quartiere San Paolo. Una specie di casa del ricordo nella quale non si sente più al sicuro.

L’incubo è iniziato la settimana scorsa, quando due impiegati del Comune di Roma le hanno notificato una "diffida al rilascio per occupazione senza titolo" dell’alloggio in cui abita da più di cinquant’anni. "Io voglio morire a casa mia", protesta l’anziana, ancora scossa per l’accaduto. Da quel giorno la quiete delle sue giornate ha lasciato il posto ad angoscia e smarrimento. "Non chiudo occhio da giorni, ho paura che da un momento all’altro qualcuno possa arrivare qui, sfondare la porta e trascinarmi via", racconta la signora Lea. Tra le mani tiene una cartellina logora piena di bollettini. "Ho sempre pagato tutto e il pensiero di finire i miei giorni con addosso lo stigma dell’occupante abusiva mi tormenta".

Lea è sconvolta, scuote il capo, agita le mani, borbotta. Si calma solo quando la vecchia gatta Gilda, l’unica compagnia che le è rimasta, si accoccola sulle sue ginocchia. Allora le liscia il pelo e la mente divaga. "Quanto è bella la mia Gilda, l’avete vista? Bella e vanitosa, lei non è una gatta qualunque, è una gatta a pelo lungo, un po’ snob, in casa comanda lei". Lea è una persona deliziosa. Insiste per preparaci il caffè, ci domanda più volte se il divano dove ci siamo sedute è comodo. Insomma, appare tutto fuorché una delinquente. Come è possibile che il Comune l’abbia messa nel mirino?

Il contratto di locazione della casa è datato 1969 ed è a nome del marito, Umberto Giglietti, che l’ha ottenuto proprio perché il comprensorio residenziale era riservato ai dipendenti del Comune di Roma. Dopo la morte di Umberto, l’anziana è rimasta a vivere lì, in qualità di moglie dell’avente diritto. Negli anni che sono trascorsi da allora, non solo ha provveduto a pagare puntualmente i bollettini, che risultano intestati a lei, ma ha anche presentato una domanda di "assegnazione in regolarizzazione" datata 30 settembre 2020. Di quella documentazione, che Lea ci mostra più volte, a riprova della sua buona fede, evidentemente, l’amministrazione capitolina aveva perso traccia.

"Con tutte le persone che occupano abusivamente le case popolari, il Comune se l’è andata a prendere proprio con la più onesta. Sapete cosa mi hanno risposto al dipartimento quando sono andato a chiedere spiegazioni? 'Da qualcuno dovevamo pur iniziare'. La verità è che hanno preso un granchio", sentenzia Domenico Fumato, presidente dell’associazione di volontariato Tuttoblu arte e sociale, che si occupa di fornire assistenza ai poveri della città. La stessa di cui faceva parte anche Lea. Finché ha potuto, infatti, l’anziana è stata molto attiva nell’aiuto ai bisognosi. Fortunatamente, grazie alla denuncia di Fumato, il caso della signora Lea è finito alla ribalta. Ne hanno parlato Tv e giornali, e così l’amministrazione è corsa ai ripari inviando a casa dell’anziana un avvocato.

"Hanno dato alla signora garanzie che non la sfratteranno, ma non ci basta, non c’è nulla di scritto, noi vogliamo un atto ufficiale perché le chiacchere se le porta via il vento", annota Fumato. Anche l’assessore alle Politiche abitative Valentina Vivarelli è intervenuta sulla questione, affermando che la signora avrebbe potuto regolarizzare la propria posizione presentando domanda di sanatoria entro il 28 maggio. "La domanda di sanatoria – precisa però il volontario – è stata presentata e protocollata, perché non hanno verificato? Per un pasticcio fatto dal Comune di Roma hanno mortificato e umiliato una persona già provata che non meritava un simile trattamento".

La speranza è che, dopo lo scivolone dell’amministrazione, la situazione si possa risolvere, come è giusto che sia, con un annullamento della diffida al rilascio dell’immobile.

"Cosa sarebbe successo se Lea fosse stata sola e se nessuno l’avesse aiutata a denunciare l’accaduto?", si domanda oggi Fumato. Lui, in prima linea tra gli emarginati ogni giorno, conosce già il finale: "Si sarebbe ritrovata in mezzo alla strada, come accade ai tanti invisibili di questa città".

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