“La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda e vede i due miracoli più belli che ha fatto: donare la vita e donare l’amore”. Ne è convinto Alessio Territo, giovane papà di Fiumincio, che ha scelto questa frase di San Giovanni Paolo II per personalizzare il suo profilo Facebook. Lui, per proteggere la sua famiglia, si è esposto in prima persona. È stato il primo a sospettare. Il primo a rendersi conto che qualcosa in suo figlio era cambiato. Il primo a intervenire quando ha realizzato che quelli di Marco, 5 anni, non erano solo capricci.
Il bimbo si rifiutava di andare a scuola. Era diventato violento e irascibile. Lanciava i giocattoli. Alternava momenti di serenità a crisi di pianto. Aveva ricominciato a fare la pipì a letto. Ma ci sono voluti mesi prima che Alessio aprisse gli occhi. “Mai - dice battendosi il petto, come a volersi colpevolizzare per aver sottovalutato quei segnali - avrei sospettato delle insegnanti”. A far scattare in lui il terribile presentimento è stata una frase detta dal piccolo alla madre: “Mamma, si può morire di botte?”. Parole che sono risuonate come un chiaro campanello di allarme. Per trovare risposte Alessio si ingegna e nasconde all’interno dello zainetto del bimbo un registratore. “Appena rientrava da scuola lo recuperavo, scaricavo i file e poi lo rimettevo al suo posto”. È andata avanti così per undici giorni e altrettante notti. Quando nel piccolo appartamento in cui vive la famiglia Territo le luci si spegnevano, Alessio, si metteva davanti al computer e ascoltava ore e ore di registrazioni.
“I bambini venivano vessati, umiliati e minacciati”, ricorda il genitore con le lacrime agli occhi. Marco, ad esempio, veniva definito “lo scemo della classe” dalle maestre che istigavano gli altri alunni a deriderlo. “Si sentivano urla, pianti, boati, suoni indistinguibili che mi hanno fatto pensare al peggio”. Alessio associa subito quei rumori ad alcune immagini circolate nella chat dei genitori. Foto che raffigurano i lividi comparsi sulle braccia e sulla schiena di alcuni bimbi. Come quelli che hanno notato i genitori di Carolina quando le hanno fatto il bagnetto. “Non riuscivamo a capire come se li fosse procurati, abbiamo pensato ad un litigio tra bambini e così abbiamo mandato quelle foto in chat per vedere se gli altri genitori ne sapessero qualcosa”, racconta oggi la mamma della bimba. Anche lei, con il senno del poi, sente di non aver fatto abbastanza per proteggere sua figlia. Le scoperte che Alessio mette insieme diventano un fardello sempre più pesante. Schiacciante.
“Mi sono detto che non potevo più aspettare, dovevo portare le registrazioni alla polizia e denunciare tutto”, ripercorre il genitore, che per lo stress accumulato in quel periodo viene colpito da due ictus cerebrali. Iniziano così le indagini condotte dagli agenti della Squadra mobile della Questura di Roma che ad aprile piazzano delle videocamere nascoste nella aule dell’asilo Isola dei Tesori. Passano due mesi. Due mesi da incubo per Alessio che sa tutto ma non può dire nulla. Al termine dell’attività investigativa, i suoi timori sembrano aver trovato conferma. Dalla Questura fanno sapere che: “Alcuni bambini sono stati isolati dal contesto della classe e confinati dietro la cattedra, mentre in altre occasioni una delle maestre ha usato le mani di un bambino per colpirne un altro, incitandolo a colpire “più forte”, in un’agghiacciante esempio di reazione occhio per occhio, dente per dente”.
Per il gip di Civitavecchia ce n’è abbastanza per sospendere le due donne dall’insegnamento e accusarle in concorso per maltrattamenti fisici e psicologici. Nei fermoimmagine diffusi dalle forze dell’ordine si vede anche Carolina con il suo grembiule rosa, strattonata con forza da una delle due donne. I suoi genitori rabbrividiscono: “Quel giorno - ricordano - è tornata a casa con il grembiule strappato, le abbiamo chiesto cosa fosse successo ma lei non ce lo ha voluto dire”. Da qualche giorno però le due donne sono rientrate in servizio perché il giudice del Riesame ha revocato la misura cautelare. Sembra inoltre che il capo di imputazione sia stato derubricato in abuso di mezzi di correzione. La notizia ha fatto piombare Alessio nell’angoscia. “Non è giusto. Provo sdegno, rabbia e orrore”, reagisce in preda allo sconforto. Una batosta che si aggiunge al calvario che stanno attraversando le famiglie che si sono costituite parte civile nel processo a carico delle due educatrici: solo 4 su 24.
“Credo che alcuni - ipotizza l’avvocato Guerrina Crescentini, che segue i genitori di Marco - abbiano paura delle ripercussioni, visto che continuano a mandare i loro figli in quella scuola”. “Noi - ci confida un genitore - lo abbiamo fatto per il bene di tutti, eppure ci siamo scontrati con l’omertà di chi per quieto vivere ha messo la testa sotto alla sabbia”. E così, in attesa che la giustizia faccia il suo corso, i superstiti di questa brutta storia stanno affrontando la sfida più dura: il ritorno alla normalità. “Viviamo su un’altalena - racconta la mamma di Marco - ci sono alti e bassi. L’unico conforto è sapere che abbiamo agito nel giusto, ma siamo continuamente assaliti dai dubbi”.
“Specialmente quando vediamo che nostro figlio non viene invitato alle feste di compleanno perché noi siamo i genitori che hanno denunciato. È lì che arrivano le domande, la paura, lo sconforto. È lì che ci sentiamo soli”.
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