Alina è sfiancata da un’altra giornata di duro lavoro. Si regge la fronte con le mani, seduta su un marciapiede all’angolo con viale Eritrea. Accanto a lei c’è un vecchio passeggino che aspetta di esser spinto fino a casa, carico di materiale rovistato. Cavi elettrici da cui ricavare il rame, principalmente, ma anche alluminio, piombo, scarpe e indumenti. È una delle tante nomadi che vivono abusivamente lungo gli argini del Tevere, nei pressi del Ponte delle Valli. Una delle tante che sopravvive passando al setaccio i cassonetti del Trieste-Salario.
Non la ferma la calura estiva e neppure l’olezzo nauseabondo delle cataste di immondizia che l’Ama non riesce a raccogliere. “Passano in gruppo e rovistano all’interno dei cassonetti, prendono quello che gli occorre e lasciano fuori il resto”, denuncia un negoziante. È il proprietario di una boutique da uomo, uno dei negozi più chic di viale Libia. “Non è più possibile lavorare in queste condizioni, in strada – annota polemico – non c’è più decoro”. Quello del rovistaggio non è un fenomeno nuovo, ma c’è chi è pronto a giurare che, con l’ennesima emergenza rifiuti, il numero di rovistatori di professione sia aumentato.
È il caso di Andrea, studente fuori sede che abita in via Collalto Sabino, una delle strade più indecenti della zona. Lo incontriamo mentre cerca di sbarazzarsi della spazzatura. Impresa non facile, visto che il cassonetto è circondato da una montagna di sacchetti. “Ho la sfortuna di vivere proprio sopra ai secchioni”, dice, indicando con una mano una palazzina tinteggiata di bianco e turandosi le narici con l’altra. “Da quando la situazione è precipitata – assicura – il viavai di nomadi si è intensificato, vengono tutti a rovistare qui”. Eppure, tra il serio e il faceto, qualcuno non vede poi così male la faccenda. “Sono aumentati? Meglio, fanno quello che dovrebbe fare l’Ama”, commenta una signora sulla cinquantina che lavora in una pizzeria sulla stessa via.
Una teoria, questa, che raccontano anche i diretti interessati. “Facciamo la differenziata meglio del Comune”, spiega Aurelio, rom di origine bosniaca. “Solo che loro sono più veloci perché hanno i camion mentre noi dobbiamo mettere tutto sul carrello”, prosegue mostrandoci il groviglio di fili elettrici recuperati dai cassonetti. Lo intercettiamo quando il sole sta ormai calando, appollaiato su una ringhiera, si sta rinfrescando con una birra assieme ad un gruppetto di connazionali. Oggi ha percorso quasi 20 chilometri, setacciando decine di cassonetti, senza sosta, per otto ore. Il bottino, però, è magro. Se prima riusciva ad accantonare tra i 20 ed i 30 chili di metalli, ci spiega, adesso ne mette insieme a malapena 5.
Ad intralciare le operazioni di recupero dei materiali, infatti, ci sono i cumuli di pattume che circondano i secchioni rendendoli, in molti casi, inavvicinabili. E poi la puzza degli scarti organici in decomposizione, dice, “fa schifo pure a noi”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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