La Ruggiero alla scoperta dei canti di montagna

In concerto lunedì dalle 21 allo Strehler: «Il mio è un progetto che nasce da lontano»

Andrea Indini

Ci saranno proprio tutti i canti di montagna della nostra tradizione, domani sera al Teatro Strehler, da Dormi, dormi bel bambin a La montanara, Quel mazzolin di fiori e La Valsugana: con un’interprete d’eccezione, tanto per sfatare la leggenda di una musica «minore», accompagnata magari da un fiasco di vino o un bicchiere di grappa: Antonella Ruggiero.
Antonella, come nasce questo progetto?
«È una mia vecchia passione: pur essendo nata a Genova, ho sempre amato i canti tradizionali di montagna per la loro capacità di trasmettermi intense emozioni. Così, l'estate scorsa, ho deciso di partecipare al festival trentino I suoni delle Dolomiti, ma per la prima volta di farlo portando con me due cori alpini, il coro Sant'Ilario di Rovereto e il coro Valle dei laghi. Allo Strehler sarà la stessa cosa: all'interno di un teatro può avvenire qualsiasi cosa perché spazio e tempo vengono a cadere mentre la musica trascina e fa vivere lo stesso pathos che io stessa ho provato in alta quota, sulle Dolomiti. Lunedì sera riproporrò, infatti, al mio pubblico, oltre ai canti tradizionali, tre miei brani - Occhi di bambino, Corale cantico e Echi d'infinito - riadattati per cori».
Il suo cammino musicale è iniziato quasi dieci anni fa con l'album Libera. In tutto questo tempo ha avuto modo di lavorare con personaggi come Ennio Morricone, accostarsi alla musica sacra e partecipare a Sanremo. Cosa unisce questo suo cammino?
«Se guardo indietro questa lunga avventura che è iniziata nel 1996, mi accorgo che è stato un bel viaggio. E sono felice, perché sono solo all'inizio: non ho intenzione di fermarmi ora perché quello che ho fatto in questi anni è solo la base per il mio lavoro futuro. Anche adesso continuo a produrre: sono stata, da poco, a Berlino dove sono andata a suonare musica ebraica in una sinagoga, la sola che i tedeschi non hanno distrutto durante la Notte dei cristalli. Questo mio viaggiare, scambiare e spaziare nel variopinto mondo musicale abbatte ogni limite e confine. Alla base di tutto c'è, senza dubbio, la curiosità e la voglia di giocare con la musica, proprio come un bambino che si perde in un negozio di giocattoli. Per questo, mi circondo di persone - come lo stesso Roberto Colombo - che stanno al passo con le mie idee e i miei ritmi, un fatto che per me è naturale ma che per altre persone può essere più difficile da comprendere».
La musica italiana si sta livellando sempre di più: escono pochi prodotti che stupiscono, innovano o sperimentano. Siete rimasti in pochi, perché?
«Credo che la colpa debba essere attribuita alle case discografiche che decidono di proporre sempre modelli canonizzati e iconizzati sulla base di quelli che vengono dall'estero. Nessuno vuole investire sui giovani perché, nel farlo, bisognerebbe farli crescere e seguirli. Questo è il destino dei nostri tempi: l'arte avrebbe bisogno di gentilezza e non di velocità... Qualcosa di sperimentale si vede ancora: ne sono l'esempio gli album dei Subsonica o gli ultimi lavori di Morgan, ma non è abbastanza.

La maggior parte dei cd che scalano le hit delle classifiche sembrano preconfezionati e non danno niente di nuovo al nostro panorama musicale. Sono contraria a questo genere di musica: amo sperimentare ed evolvermi sempre in qualcosa di nuovo. Questo mi fa sentire viva».

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